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PHIDEAUX Infernal Bloodfish Records 2018 USA

Nel 2013 un prolificissimo Phideaux, dopo aver sfornato, a breve distanza l’uno dall’altro, una serie di album davvero notevoli per originalità ed inventiva, annunciava al mondo l’uscita della terza parte di una trilogia iniziata nel 2006 con “The Great Leap” e continuata nel 2007 con “Doomsday Afternoon”, incentrata sui temi dell’autoritarismo e del collasso ecologico. Venne fornita persino una track list molto lunga e l’uscita di quello che nelle nostre teste si preannunciava come un capolavoro sembrava imminente. Ma il tempo passava e nessuno aveva idea del perché di tanto ritardo. Nel 2015 Phideaux pubblicò nella sua pagina Facebook tutti i testi di “Infernal” spiegando che l’album, doppio, era in fase di post produzione ma poi ancora silenzio e col tempo in tanti abbiamo smesso di sperare ed aspettare. A conti fatti sono passati sette anni dal precedente “Snowtorch” e ben undici dal secondo capitolo della nostra trilogia ed alla fine eccolo qui.
Tutta la line-up di “Doomsday Afternoon” è di nuovo all’opera, con l’aggiunta del tastierista Johnny Unicorn che nel vecchio disco c’era ma solo come ospite. Ecco nuovamente le belle voci femminili di Valerie Gracious, di Linda Ruttan-Moldawsky e di Molly Ruttan (quest’ultima è ancora l’artefice della bella copertina), le tastiere di Mark Sherkus, il basso di Mathew Kennedy, la batteria di Rich Hutchins, il violino di Ariel Farber, le chitarre di Gabriel Moffat, al quale è stato nuovamente affidata la produzione, ed infine lui, Xavier Phideaux alla voce, al piano e alla chitarra. Oltre a questo nucleo ci sono, come di consuetudine, diversi ospiti impiegati essenzialmente per le parti corali oltre alla violoncellista Stefanie Fife e a Andy Camou alla tromba.
Ogni cosa sembrava essere al suo posto e mi ha fatto uno strano effetto girarmi fra le mani questo doppio CD ed inserirlo delicatamente nel lettore in attesa che la magia iniziasse, sembrava quasi di essere tornati indietro nel tempo… Devo però confessare che il primissimo ascolto si è rivelato una autentica di doccia fredda: le dieci tracce del primo CD sono passate nelle mie orecchie l’una dietro l’altra in modo quasi impermeabile. Scorrevano fluide e lineari senza però lasciarmi la benché minima emozione. I suoni sono come al solito molto belli, limpidi, perfetti con eleganti impasti tastieristici che includono come al solito il Mellotron, ritroviamo poi gli elementi acustici della chitarra, il cantato di Phideaux che ormai è un marchio di fabbrica, col suo stile molto cantautoriale, i cori, gli ampi riferimenti ai Pink Floyd come anche ai Genesis ma anche ammiccamenti poppish più accentuati che in passato. Ecco, a conti fatti, ho notato una maggiore semplicità e una minore varietà e insomma, se chiami un disco “Infernal” mi aspetterei per lo meno qualcosa di più dirompente.
Giuro che ho persino dubitato di me stessa... forse tutto questo tempo ha cambiato il mio modo di percepire la musica di Phideaux… era necessario a questo punto riprendere in mano i vecchi dischi e verificare se le mie sensazioni fossero vere. Non ho potuto far altro che confermare le mie primissime impressioni: tutta la teatralità e la vitalità che caratterizzavano i vecchi album non le ritrovo in questo prodotto splendidamente confezionato ma privo di slanci emotivi. Non mancano i bei momenti, mi pare il minimo da un artista di questo calibro, e cito “The Error Lives On” con le suggestive parti corali ed i riferimenti a “The Lamb”, o “Inquisitor”, Floydiana fin nel midollo, con suggestioni che ci portano dritti dritti a “The Wall”, ma faccio davvero una gran fatica a scegliere un brano piuttosto che un altro. A conti fatti il secondo dischetto mi lascia qualcosa in più. Ho letto che il nucleo di pezzi che costituisce la terza parte dell’opera, in pratica le prime 6 canzoni del secondo CD, risale al 2007 ed è stata scritta proprio dopo “Doomsday Afternoon”. Ciò potrebbe spiegare perché alcune tracce di questa sequenza appaiono più interessanti. Ecco quindi le sequenze classicheggianti di “The Order of Protection (One)", con intrecci di piano e tastiere molto Genesisiani, una “The Sleepers Wake”, dalle colorazioni prevalentemente acustiche, molto bella nelle sue progressioni melodiche e la seconda parte di “The Order of Protection” che finalmente ci fa assaporare qualcosa di sinfonico e movimentato. Ma il pezzo più bello di tutta l’opera potrebbe essere però “From Hydrogen To Love” che rinverdisce un po’ i fasti del passato con dinamiche strumentali più vivaci e persino qualche tocco Emersoniano.
Qualche ultima scintilla viene lanciata con la conclusiva “Endgame – an end”, epilogo di un album bello, perché mentirei se dicessi il contrario, ma che ci lascia con un po’ di amaro in bocca per la sua monotonia e per aspettative che dopo tutto questo tempo non sono state mantenute.



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Jessica Attene

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