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PTF The World(s) Perpetual Spring Records 2018 JAP

Il quartetto nipponico che spesso viene definite “I KBB dei poveri” è comunque capace di offrirci, a cadenze più o meno regolari, gradevolissimi album che possiamo decisamente apprezzare per la loro particolare configurazione strumentale. L’utilizzo intensivo del violino, in sostituzione della chitarra, oltre a suggerirci l’accostamento di cui sopra, permette la costruzione di atmosfere classicheggianti che si innestano sulle delicate sonorità fusion che dal primo album caratterizzano questa band. Unite a ciò ovviamente le tastiere, ben raramente su sonorità ruggenti e in primo piano, contribuiscono a fornire un valido piedistallo per l’archetto di Keisuke Takashima che, da parte sua, percorre alternativamente le corde del violino elettrico e di quello classico, sempre rivestendo il ruolo di assoluto protagonista della storia.
Le 11 tracce di questo terzo album, che vede il quartetto immutato rispetto alla prova precedente, sono idealmente divise in due parti, dove le ultime quattro sono racchiuse entro un “Act 2” di cui fatichiamo a comprendere l’esatto significato, anche se “The World(s)” si presenta, se non come un concept album, come un album a tema. Quel che possiamo sicuramente ascoltare e che possiamo notare è il fatto che, fin dalle prime note di “Monologue ~ Just Another Day”, la musica si posiziona su un tipo di ritmiche ed atmosfere che non lasceranno per lo meno fino alla sesta traccia, fatto di assoli mozzafiato di violino sostenuto da ritmiche costanti e contorni di tastiere, per la maggior parte del tempo su sonorità pianofortistiche, il cui principale scopo sembra quello di far risaltare appunto il lavoro del violino, senza prendersi alcun’altra responsabilità se non quella di sorreggere in modo adeguato le sue evoluzioni. I brani si susseguono praticamente senza soluzione di continuità e con caratteristiche abbastanza sovrapponibili.
La suddetta sesta traccia (“Reminiscence”) ci permette di prenderci una pausa, per lo meno dal punto di vista ritmico, dato che il suo sviluppo è molto più melodico e pacato e qua e là fa capolino il piano elettrico a mutare impercettibilmente la miscela sonora. Anche la successiva “Monologue ~ My World”, che chiude la prima sezione dell’album, muta sonorità, presentando una sezione ritmica più aggressiva, quasi metal, e alcune distorsioni del violino che ce ne fanno scoprire un aspetto frenetico, quasi chitarristico.
La seconda sezione sembra ritornare sulle frenetiche atmosfere iniziali; il violino si reimpossessa del suo ruolo di assoluto dominatore della scena. Una formula musicale che alla lunga (e quest’album è molto lungo, arrivando a sfiorare gli 80 minuti, con la quasi totalità delle tracce ben al di sopra dei 6 minuti di durata, tutti strumentali) è certamente stancante ma è comunque innegabile che le armonie e le deliziose atmosfere jazz-rock sinfoniche riescano a farsi ascoltare molto piacevolmente. Fortunatamente comunque si torna poi su atmosfere melodiche e sinfoniche e successivamente su quelle hard Prog che avevamo già incontrato. L’ultima traccia, la più lunga dell’album (11’45”), con la reprise del tema iniziale, alla fine è quella che incide meno, con ampie atmosfere da commiato che si protraggono (non in modo sgradevole, intendiamoci) per tutta la sua durata.
Ancora una volta è un album che ci saremmo potuti aspettare dai PTF, nel bene e nel male, senza grosse sorprese, con un giudizio finale ovviamente positivo, come al solito.



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Alberto Nucci

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