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QUIDAM The time beneath the sky Rock Serwis/Musea 2002 POL

Questo cd dimostra chiaramente che il grande pregio della musica dei Quidam è soprattutto uno: la semplicità. Ma non bisogna lasciarsi ingannare da una simile caratteristica, perché l'incredibile gusto con cui i Quidam propongono le loro idee vale molto di più della complessità di artisti che poi, alla fin fine, hanno ben poco da dire. La band polacca si è già fatta apprezzare con due album in studio ed un live dal fascino notevole ed immersi in un new-prog di estrema raffinatezza.

Con il nuovo album, i Quidam in parte confermano queste loro caratteristiche, ma in parte offrono anche nuove soluzioni. Infatti, già "Letter from the desert I", che apre il cd con i suoi oltre 6 minuti, lascerà esterrefatto chi si attende il solito new-prog romantico ed elegante: il brano si apre con vocalizzi della cantante ed atmosfere che portano in territori vicinissimi ai Dead Can Dance! Subentra poi la batteria elettronica e inizia una lunga parte strumentale - con il flauto a dominare le scene - che arricchisce la canzone di elementi etnici, per nulla in contrasto con il sound elettronico e moderno. Si prosegue con un riffone acido di chitarra, nuovi vocalizzi stavolta in stile Haslam (la celebre "Raja Khan" non è così lontana), il flauto onnipresente, ed un altro breve intervento della sei corde che ci accompagna verso il finale melodico e malinconico guidato da un bellissimo assolo di oboe... Un vero gioiellino che lascia a bocca aperta e che si rivela però l'unico con queste caratteristiche: infatti, già la successiva "Still waiting (Letter from the desert II)" è contraddistinta da quella semplicità di cui si parlava all'inizio e che è chiaramente erede del precedente lavoro "Sny anjolow".

Un'introduzione atmosferica precede una melodia guidata dal flauto; una melodia ben nota con la quale un certo John Paul Jones, all'organo, quasi 30 anni fa apriva "No quarter". Dopo la meravigliosa cover di "Child in time" dei Deep Purple presente sul disco dal vivo, i Quidam, che ai loro esordi erano soliti suonare hard-rock, vogliono rendere omaggio anche agli altri padri di tale genere. Del brano originale dei Led Zeppelin resta l'aggressività chitarristica e le melodie principali, ma i Quidam dimostrano nuovamente che sono in grado di fare delle cover stupende, infarcendo stavolta la canzone di effetti vocali filtrati (ottima, ma non ci potevano essere dubbi, l'interpretazione della Derkowska), di un flauto sognante e di parti strumentali emozionanti. Nella strumentale "Credo II" c'è poi un'altra sorpresa, visto che i Quidam puntano, con questa traccia, su uno space-rock fresco e vivace che piacerà a chi apprezza i migliori Ozric Tentacles e i primi Porcupine Tree. Dopo un altro brano in forma canzone, ci sono i 9 minuti e mezzo di "Quimpromptu" che, come intuibile dal titolo, è una lunga jam, in cui, su un giro continuo di basso, i musicisti recuperano quelle sonorità spacey, che l'accurata produzione rende particolarmente limpide, di "Credo II", fino a terminare con un intrigante guitar-solo gilmouriano.

Prima di concludere, un plauso speciale lo voglio stavolta dedicare a Maciek Meller, chitarrista che in quest'album mostra una straordinaria versatilità, dando prova di essere capace di passare con estrema disinvoltura dall'hard-rock tirato al romanticismo gilmouriano-latimeriano, passando per lo space-rock e fino all'esecuzione di toccanti note acustiche. Ma è tutto il gruppo a confermare eccellenti qualità e classe sopraffina in un disco elegantissimo e ben costruito, in cui, come detto, non c'è nulla di cervellotico ed è la semplicità a farla da padrona, ma attraverso il quale è possibile ascoltare oltre un'ora di ottima musica.

 

Peppe Di Spirito

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