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QUI Qui Musea / Poseidon 2008 JAP

Non me lo ricordavo assolutamente così questo gruppo, mi sono infatti ritrovata ad estrarre nuovamente il CD dal lettore per controllare che avessi inserito proprio quello dei giapponesi e non l'ultima uscita di qualche band svedese. In effetti il CD che sto ascoltando è proprio il secondo album dei Qui, pubblicato a distanza di due anni dall'esordio "Prelude". Presa coscienza di questo fatto corro a rileggermi la recensione del primo CD che corrisponde nella descrizione ai miei ricordi: jazz rock spietato ed interpretato da una formazione ridotta al minimo indispensabile, con chitarra, basso e batteria. In effetti dalle note biografiche scopriamo che la band del chitarrista virtuoso Takashi Hayashi si è completamente trasformata e consta allo stato attuale di ben cinque elementi, grazie all'aggiunta di un flautista e di un percussionista, più un sassofonista come ospite. Anche la musica ha cambiato decisamente direzione, trattandosi di un jazz rock sinuoso e vibrante, dalle sonorità vintage e non privo di qualche guizzo psichedelico e qualche aggraziata pennellata sinfonica. Abbiamo tracce di grande atmosfera, come quella di apertura, "Puyol", con linee percussive che ci riportano quasi al repertorio di Santana, ed un flauto che domina totalmente il paesaggio sonoro con i suoi fraseggi alati. Il risultato finale potrebbe essere stato partorito in Scandinavia, forse per le sonorità oscure o per il riverbero piacevole dei suoni. La chitarra è suonata in maniera pulita e virtuosa, senza mai sfoggiare i muscoli ma facendosi notare per il tocco elegante e leggero di Takashi, che sembra quasi ispirarsi ad Holdsworth. "Mimique", la breve seconda traccia, si basa su scelte melodiche semplici e piacevoli, a dimostrare che spesso una scelta equilibrata per quel che riguarda gli arrangiamenti, con una maggiore attenzione rivolta all'atmosfera generale e al rispetto della forma della canzone, garantisce la riuscita finale del pezzo. La seconda parte del CD si discosta un po' dagli standard dei primi 3 pezzi con un orientamento maggiore verso la sperimentazione ed il free jazz ed il flauto in queste occasioni potrebbe quasi essere quello di Jiří Stivín: il gusto di Kazuo Yoshida non si lascia mai sopraffare dalla tecnica, facendo sì che anche nelle soluzioni più estreme persista una certa godibilità di fondo che fa scorrere agevolmente la musica. Giudizio positivo per questo album, che non è sicuramente l'ultimo ritrovato del prog jazz, ma che ci permette di navigare per 48 minuti buoni in acque sicure, nonostante l'apparente minacciosità di qualche cavallone che sembra alzarsi in lontananza ma che non riesce mai a mettere in pericolo la stabilità della nostra imbarcazione.

 

Jessica Attene

Collegamenti ad altre recensioni

QUI Prelude 2006 

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