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QANTUM Les temps oubliés Musea 2009 FRA

Dischi che si riflettano nella grande tradizione del prog sinfonico francese non sono più tanto frequenti al giorno d'oggi. Anche per questo accogliamo con piacere questo album che molto deve alla scuola degli Ange e a band come Mona Lisa e anche Galaad. I Qantum nascono nel 2007 dalle ceneri di due formazioni di rock progressivo, gli Ultime Atome ed i Lapsus Linguae, e ci offrono un debutto interessante e godibile, sebbene non rappresenti in assoluto un'uscita imperdibile, per tante piccole ingenuità disseminate qua e là nell'arco delle sue nove canzoni che lo compongono e per un lavoro di produzione abbastanza artigianale (sembra quasi un bootleg registrato da un vinile) che però, in fin dei conti, non pregiudica in assoluto la bontà del prodotto finale. Se accettiamo la freschezza di questo album, il suo carattere un po' naïf ed il suo sapore un po' retrodatato che lo fa sembrare un disco dei primissimi anni Novanta più che un prodotto vintage di moderna fattura, riusciremo sicuramente ad apprezzare meglio la musica dei Qantum. Il punto di partenza, come ho accennato all'inizio, è il prog sinfonico francese, soprattutto quello classico degli Ange, e questo si traduce in un ruolo predominante del cantato che è, come nella migliore tradizione di questo tipo di musica, teatrale ed espressivo. I testi sono ovviamente in francese e fluiscono in maniera gradevole nell'interpretazione vocale di Jean Marc Tesorio che adotta un approccio abbastanza delicato e privo di sbalzi emotivi eccessivi. Le parti strumentali presentano begli slanci tastieristici con sequenze di Moog e di piano e tappeti di synth praticamente ovunque. Ogni elemento strumentale viene però messo sempre al servizio della canzone ed è sempre funzionale alla trama del cantato, con le sue colorate narrazioni, che rappresentano in assoluto il punto di fuoco del disco. L'album si compone di belle linee melodiche che è bello riassaporare anche con gli ascolti successivi e che sono impresse sia dalla chitarra elettrica di Thierry Locatelli che dalle già menzionate tastiere di Franck Foussard. Grazioso l'inserimento di quando in quando di sequenze dal sapore antico, come nel medievaleggiante incipit di "Milena" che si apre con tamburi e tastiere che ricordano vagamente uno squillo di chiarine, o come nel delicato intermezzo strumentale per chitarra acustica "Court terme". Riferimenti palpabili possiamo trovarli anche verso band come Genesis e soprattutto i Marillion dell'era Fish, ma si tratta comunque di alcuni dei tanti sapori che possiamo riscoprire nel contesto di un album che possiede un'anima decisamente francese. Non si tratta di un lavoro particolarmente significativo o che ricorderò nella lista dei miei preferiti dell'anno appena trascorso, ma sicuramente è un'opera godibile, sincera, seppure ingenua e retrò, sia nello stile che nelle timbriche strumentali scelte. Per gli amanti irriducibili del prog francese di matrice sinfonica.



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Jessica Attene

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