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QUASAR LUX SYMPHONIÆ The dead dream Lizard Records 2012 ITA

I Quasar Lux Symphoniae, noti per aver cominciato ad incidere il loro prog sinfonico dalle tinte maestose e magniloquenti a partire dal 1994 con il doppio concept “Abraham – One art rock opera”, hanno in realtà portato avanti una lunga gavetta prima di arrivare al famoso esordio. Tanto per fare un esempio, nel 1984, a nome “Quasar”, era stato pubblicato “Night hymn”, incentrato su un hard rock melodico di stampo americano tipico di quegli anni. Ciò che non era risaputo, però, è che esistevano delle registrazioni realizzate dal leader Roberto “Beattie” Sgorlon ancor prima di qualsiasi release ufficiale. Nella seconda parte degli anni ’70, infatti, la mente di quelli che oggi si sono rinominati QLS, suonava la batteria; interessato agli sviluppi delle soluzioni musicali dati da uno strumento come la chitarra, Sgorlon nel 1977 crea il progenitore di tutti i concept che sarebbero nati nei decenni a seguire per la sua band: “The dead dream”. Affidando le liriche al fido Umberto Del Negro, che lo avrebbe accompagnato in tutte le incarnazioni del gruppo, nasce una storia incentrata in tutto e per tutto sulla psichedelia. È la storia visionaria e drammatica di Roxy, il quale sembra vivere, per l’appunto, un dramma psichico che proietta la sua esistenza esclusivamente all’interno della propria mente alterata chimicamente. Tutto ciò ricorda molto da vicino la ben più nota opera “The wall” dei Pink Floyd, il cui protagonista, Pink, a causa di problemi psicologici si costruisce un “muro” mentale dietro il quale si auto-isola. Paradossalmente, il lavoro di Roger Waters e compagni… verrà pubblicato due anni dopo! “The dead dream” è quindi antesignano tout-court, nonostante si muova proprio su quelle atmosfere floydiane che sarebbero state riprese da Steve Wilson nella prima parte della carriera ufficiale dei suoi Porcupine Tree, soprattutto su “The sky moves sideways”.
Ma ecco il colpo di scena: i master tapes scompaiono e risultano perduti per sempre! “Beattie” ci pensa su e torna in studio nel 1995 con Del Negro (basso) e Fabrizio Morassutto (batteria), team ormai collaudato da tempo, sforzandosi di ricreare qualcosa che fosse più fedele possibile a quanto smarrito. Di questo lavoro si sussurra, diventa mito, finché nel 2012 la Lizard provvede alla pubblicazione e pone fine a qualsiasi discorso gratuito. Certo, sarebbe stato molto interessante sentire l’originale, anche perché qui c’è la sensazione che si sia voluto produrre un lavoro troppo “pulitino”, perdendo così quel fattore di valore concreto che sta alla base anche delle uscite psichedeliche più eteree. Insomma, quando un termine come “perfettino” diventa malauguratamente sinonimo di “mancanza di concretezza”, c’è qualcosa che non va. Ovviamente si sta parlando di qualcosa che è da considerare nella sua importanza storica, comprendendo che Sgorlon non ha voluto di proposito arricchire degli arrangiamenti che avrebbero potuto avere ben altri sviluppi. Però un pezzo come “Life for art” è bello davvero, fa venire voglia di riascoltarlo nella sua espressività, così come “Look again”, accompagnato dalla chitarra acustica, o “Leave me alone”. E allora viene da pensare che era proprio la semplicità l’arma vincente di questo gruppo, qui ribattezzato Quasar L.S., che ammanta l’intero lavoro di un’atmosfera ovattata, come le pareti spugnose ed inespugnabili dell’interno della mente.
“Stranger shadow” ed “Instead of you”, che sono i pezzi più movimentati e che non a caso finiranno su “Night hymn”, sanno davvero troppo di dilettantesco e con i suoni elaborati a sproposito arrivano anche ad irritare. Ecco quindi trovato il vero punto debole: l’uso scorretto delle tastiere. Quest’ultime infatti (ad opera dallo stesso Roberto) presentano sempre la stessa tonalità e suonano spesso a sproposito. Quanto manca, ad esempio, un pianoforte su “Game over”! Tolto questo, Sgorlon suona la chitarra a la Wilson… prima di Wilson stesso, con grande mestiere. Prova ne è la conclusiva “San Francisco California”, il tragico epitaffio del sogno lisergico e brano dal grande trasporto emotivo.
Tirando le somme, questa pubblicazione non è né il classico capolavoro inedito che certi media spesso tendono a costruire a tavolino e né una prova acerba da evitare. Ci sono tante cose buone, anche se ovviamente sarà acquistato più che altro per amor di completezza da parte dei fan. Comunque, anche in questo caso, non ci si ritroverà un prodotto che una volta comprato se ne starà a prendere polvere nascosto in qualche scaffale di casa.
Molto bello l’art work di Davide Guidoni.



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Michele Merenda

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