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QUERCUNIAN CAMERATA Prometeia autoprod. 2016 SPA

Parliamo quest’oggi di un giovane gruppo spagnolo, di Siviglia per la precisione, che ha pubblicato il suo primo album in digitale nel 2015 e che, incalzato da varie persone che hanno avuto la ventura di ascoltarne alcune clips, ha deciso di stamparlo finalmente su supporto fisico, dopo alcuni aggiustamenti su qualche pezzo ed aggiungendovi alcune bonus tracks. I Quercunian Camerata si presentano quindi al mondo Prog con questo loro primo full-length contenente 18 tracce, due delle quali inserite come bonus ed altre quattro che altro non sono che la versione con liriche in spagnolo di altre tracce.
Il gruppo vero e proprio, formatosi originariamente negli anni ’90 e passato attraverso numerosi cambi di nome e formazione, è attualmente costituito da Juan Sulis (chitarre), Alejandro Suarez (voce e vibrafono) e Cristian Suarez (batteria) ma gode della presenza di alcune collaborazioni, tra le quali quelle di Ana Fernandez al basso e di Rafael Alvarez alle tastiere, oltre a due narratori, uno per l’inglese e uno per lo spagnolo.
L’album è un concept, una narrazione ispirata dal mito di Prometeo, che inizia con un “Praeludium”, passa per un “Interludium” e termina con un “Epilogus” (tutti dei brevi strumentali con voce narrante).
In linea generale la musica della band sivigliana è pacata e molto imperniata sulla chitarra acustica, con uso di flauto, tastiere e vibrafono molto discreto, che ci portano in direzione di Anthony Phillips o di un Canterbury molto soft. Non mancano tuttavia brani, all’interno di “Prometeia”, in cui le ritmiche e le orchestrazioni si fanno più movimentate ed energiche. Le liriche sono in inglese e, benché si percepiscano chiaramente le origini situate non proprio in prossimità di Oxford, non dobbiamo fare sforzi di sopportazione particolari per farcele digerire.
Dopo il citato “Praeludium”, l’album si presenta con gli 8 deliziosi minuti di “Seasons change”, brano più lungo del lotto e che, curiosamente, non è riportato nella tracklist del retro CD. La canzone profuma tantissimo di “Epitaph”, sia per alcune situazioni musicali che per un cantato che ricorda tanto Lake, ma è molto tranquilla e si dipana molto piacevolmente e serenamente con un intreccio tra chitarra acustica e vibrafono, con la chitarra elettrica che fa la sua apparizione solo sul finale. Scendiamo solo un po’ col minutaggio con “Runaway” (dalla successiva le tracce sono tutte di durata contenuta) che conserva le quiete atmosfere sinfonico/canterburyane prevalentemente acustiche che ci accompagneranno per un po’; c’è anche molto sapore folk/psych d’inizio anni ’70 in qualche episodio. E’ peraltro un peccato che la malmessa “Ethon”, con le sue note aggressive e infelicemente strampalate, riesca a spezzare il bel clima di confidenza che si era venuto a creare nell’ascolto; un brano poco riuscito o comunque mal confezionato.
Facciamo una doverosa pausa con “Interludium” e poi si riparte con “Ascent”, anch’essa dalle atmosfere piuttosto aggressive ma dalla miglior riuscita, prima della bella “Matribus”, con sonorità e richiami viranti decisamente in territori gentlegiantiani. Le successive due brevi tracce non riservano grosse emozioni, ed è quindi “Expiatio II”, subito prima dell’epilogo, a chiudere degnamente le danze.
Le due brevi tracce bonus (“Grotesque” e “Garden”) non aggiungono molto di più a quanto detto, così come le versioni in spagnolo di 4 tracce dell’album, ma servono comunque a rimandare il momento del distacco da un album che, tranne per un alcuni momenti poco riusciti, ci ha accompagnato piacevolmente per un’ora.



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Alberto Nucci

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