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RUNAWAY TOTEM Trimegisto Black Widow 1993 ITA

Si assiste da qualche tempo, nell’ambito del prog, ad un benefico moltiplicarsi di nuove formazioni che sfruttano in misura massiccia la contaminazione con generi diversi. Tutto ciò, indipendentemente dai gusti di parte, va salutato con indubbio interesse perché è, a questo punto, l’unica strada da percorrere per tentare di coinvolgere nuovi adepti nel nostro mondo, fin qui tristemente stagnante dal lato numerico. Che questi RUNAWAY TOTEM siano coraggiosamente anomali è un dato di fatto. Se il gioco pagherà, vedremo poi. Per ora si può constatare la grande abilità dei quattro trentini nel fondere aspetti ed esperienze musicali non dico antitetici fra loro, ma comunque abbastanza inusuali. La fonte di ispirazione principale è certamente marcata MAGMA: lo si capisce subito dalle simbologie e dagli pseudonimi riportati nella copertina interna, per continuare poi con un incedere compositivo molto free ed elaborato, intelligente. E come nella seminale band francese, ciò che emerge di più è il sopraffino lavoro della sezione ritmica, davvero superlativa! Impostazione vocale e timbri chitarristici si rifanno invece a certa new wave spigolosa talora psych, talaltra addirittura dark, o meglio gothic. E’ pur vero che la presenza della sei corde è comunque dirompente, quando non anche lancinante ed infatti, in tutto l’arco del disco, è avvertibile un’attitudine diretta e sincera quasi da Centro Sociale (vedi il ringraziamento a Miguel Piccolrovazzi): e ciò sia detto come apprezzamento positivo! Saltuario è poi l’affiorare dei KING CRIMSON più oscuri di "Red", mentre non mi sembra, al contrario di quello che sostengono gli amici di Black Widow, che si possa parlare di AREA: c’è parecchia frammentarietà, questo sì, ma nient’altro di peculiarmente simile; soprattutto, non troviamo certo Demetrio Stratos alla voce... Purtroppo, anzi, proprio il cantato costituisce l'unico aspetto deficitario (e, in ottica futura, da rivedere) dei RUNAWAY TOTEM. Globalmente, però, le capacità alchemiche nel mescolare le provette indicate sortiscono senz'altro l'effetto ricercato. Laddove cupezza e sperimentalità -veri verbi espressivi della band - trovano compostezza in strutture riffate, come in "Esseri periodici", il risultato è addirittura esaltante. Il disco, presentato in una sontuosa confezione, è dunque vietato agli amanti ad oltranza del più scontato new-prog; altamente consigliato, invece, a tutti gli ascoltatori di buona volontà che rifiutano di creare, e di crearsi, assurdi steccati interiori come metodologia per giudicare a musica.

 

Francesco Fabbri

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