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RING The empire of Necromancer Musea / Poseidon 2006 JAP

Lavoro dall’approccio estremamente particolare. In apparenza album derivativo, secondo gli schemi classici a cui ci riporta tale termine. Scavando si scopre che il CD nasce da una strana evoluzione suddivisa in tre fasi.
prima fase: incisione dei primi cinque brani live nell’estate del 1975 con un modestissimo registratore a quattro piste. A questa fase partecipano il group leader Takashi Kokubo (batteria e voce), Masato Kondo (chitarra), Hiroshi Hamada (basso) e Yukitoshi Morishige (Synth e tastiere).
seconda fase: denominata Kokubo Synthesizer Works prevede la registrazione - a cavallo tra fine 1977 e inizio 1978 - di altri due brani inseriti come bonus tracks. Nel line-up compare, ovviamente Kokubo ai Synth e alla programmazione con l’aggiunta di Kayo Matsomotu ancora ai Synth e Haurihiko Tsuda alla chitarra.
terza fase: inserimento nel febbraio del 2006 delle tracce di batteria programmata sui due brani precedenti. Digitalizzazione del tutto e produzione del CD.
Quindi, riassumendo, brani chiaramente anni ’70 dove saltano fuori chiari, per la prima parte del CD, riferimenti a gruppi come Pink Floyd in primis, Focus, Iron Butterfly, ma anche frammenti di ELP, Brand X, Mahavishnu. Diversa nelle intenzioni e soprattutto nel risultato, la seconda parte due brani sorretti da effetti Synth che riportano - a tratti - più a certe cose tedesche (Schulze, in particolare) e quando il movimento si fa più deciso e dove è stata inserita la batteria programmata tanto odore di ELP e Banco.
The Empire of Necromancers è un buon disco, bene ha fatto l’etichetta ad accettare la proposta di recupero. Le tracce sono molto interessanti e ben suonate. Spiccano i 7 minuti della seconda traccia “The White Sybil” dove la prima parte è dedicata ad un cantato molto suadente e la seconda sembra riferirsi s lavori di certo jazz fusion brittanico. La seconda parte di “Prologue” per i bei cambi e i duetti tra tastiere d’epoca e chitarra che riprende delle tematiche molto giapponesizzate di cose classiche per il prog inglese del periodo (persino un piccolo recupero di un riff vandergraffiano da "H to He"). Interessanti anche i due brani aggiunti “The star of sorrow” e “In Memory of Charnades the Pan”, dove si sente in maniera più pesante un interessamento a tematiche più di casa propria, rispetto ai precedenti più english way.
Infine una nota sul cantato. Interamente in lingua giapponese e dal suono molto tradizionale, appare per brevi momenti ed è ben inserito nel contesto.
Disco interessante e consigliato a chi si sente di poter apprezzare queste operazioni di recupero, che spesso lasciano il tempo che trovano, talvolta, come in questo caso, ci aprono la porta a valutazioni positive. Per gli amanti del prog sinfonico di stampo classico e del prog giapponese, disco imperdibile.

 

Roberto Vanali

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