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RIFF RAFF Riff raff RCA 1973 (Disconforme 1999) UK

I Riff Raff sono una di quelle band “minori” del prog inglese, durati giusto l’arco di un paio d’album e poi finiti nell’ombra del fitto sottobosco britannico, pieno com’è sempre stato di realtà musicali di grande spessore. In realtà i musicisti che hanno dato vita al gruppo non erano affatto degli emeriti sconosciuti, anzi. I fondatori, cioè i polistrumentisti Tom Eyre (organo, piano, chitarra a sei e dodici corde, flauto, voce) e Roger Sutton (basso fretless, basso doppio, chitarra a sei e dodici corde, voce), provenivano da esperienze musicali del calibro di Ainsley Dunbar's Blue Whale and Retaliation, Juicy Lucy, Joe Cocker, Nucleus, Alan Price, Trinity with Auger and Driscoll, per terminare con Mark-Almond nel ’72. A loro si sono affiancati l’ottimo chitarrista Pete Kirtley (Griffin, Alan Price), il batterista brasiliano Aureo De Souza ed il sassofonista Bud Beable, che potevano vantare nel proprio curriculum, rispettivamente, collaborazioni con Nucleus e Ginger Baker's Airforce. Visti i trascorsi di ciascun musicista, non desta nessun stupore appurare che il loro progressive melodico risente molto delle inflessioni jazz ed allo stesso di quelle del pop più genuino di quei tempi. E così, grazie anche a delle influenze psichedeliche, i Riff Raff sembrano abbracciare tutti i generi sopra elencati, senza però identificarsi pienamente in nessuno di essi.
Nonostante la ristampa della Dinsconforme non presenti alcuna bonus-track, l’incisione digitale ne valorizza al meglio le dinamiche, pur mantenendo il caloroso suono vintage. La cura delle strutture armoniche, quasi maniacale, evidenzia dei musicisti dall’elevata preparazione tecnica, bilanciata dalla grande attenzione per gli arrangiamenti.
Brani come l’iniziale “Your World”, “You Must Be Joking” ed i dodici minuti de “La Même Chose” partono con dei temi che sembrano ben consolidati, per evolversi elegantemente in variazioni complesse ed allo stesso tempo molto orecchiabili, con assoli dal suono ruvido eseguiti in contesti sempre raffinati (ma perché viene spesso in mente Al Kooper?) e voci ben inserite nella tipologia dei pezzi.
Ci sono poi delle canzoni più brevi che si basano su uno uso relativamente easy della melodia, che magari non faranno proprio tutti contenti. Tra queste la migliore risulta senza dubbio “For Every Dog”, con le belle note delle chitarre acustiche che si intrecciano tra loro, assieme alle doppie voci. “Dreaming” presenta un’ottima parte strumentale, con il piano di Eyre sugli scudi, mentre la prima metà risulta un po’ troppo pesante. “Little Miss Drag” è un pezzo che mette l’allegria, ricordando i bei tempi (musicali) che furono, diventando una versione evoluta dei Beatles con un piano che ancora una volta fa la differenza. Più anonima, invece, “Times Lost”.
Davvero bello questo album omonimo, magari non di livello costante per tutta la sua durate, ma se così fosse stato avremmo avuto tra le mani un autentico capolavoro. Traspare una grande intesa tra i vari componenti del gruppo, un affiatamento che non sempre è facile da sentire in compagini anche più blasonate. È qualcosa che difficilmente può essere spiegato schematicamente, lo si coglie e basta. Ulteriore elemento a favore di un lavoro veramente buono.


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Michele Merenda

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