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RIFF RAFF Original man RCA 1974 (Disconforme 1999) UK

La raffinatezza già presente nel primo album omonimo trova il suo compimento definitivo in questo secondo lavoro. Se quanto pubblicato l’anno precedente era già un ottimo disco che si distingueva dai propri contemporanei, pur esaltandosi con la riproposizione di quanto creato in quegli anni, quello del ’74 possibilmente lo supera ed allo stesso tempo conferma tutta l’eccellenza fin lì ascoltata. Prog, jazz, pop evoluto, blues, rock… Tutte componenti presenti nel sound dei Riff Raff, senza che sia possibile poterle usare per dare una definizione ultima della band. Il gruppo di Tom Eyre è un ossimoro fatto musica, con quelle sonorità ruvide incastonate in un andamento complessivo parecchio vellutato. Lo stesso Eyre si concentra adesso su tastiere e voce, lasciando il flauto a Steve Gregory, che fiancheggia l’altro fiatista Bud Beable.
Gli arrangiamenti curati rimangono ancora il punto di forza, assieme alla grande perizia tecnica figlia di una formazione in buona parte jazzistica. Tutti elementi presenti fin dall’iniziale title-track, in cui è presente come ospite Joe O’Donnell con la sua viola, senza dimenticare quegli accenti psichedelici che conferiscono una “tinta” ancora più ammaliante al complesso quadro dei Riff Raff.
“Havavak” in alcuni tratti, soprattutto all’inizio, sembra un’anticipazione dei nostrani Arti e Mestieri, con un prog jazzato parecchio godibile, dimostrando che la parola “colto” non deve essere per forza sinonimo di “inascoltabile”. Il chitarrista Pete Kirtley è come sempre in forma smagliante, assieme al batterista Aureo De Souza.
“Goddamn the Man” ha ancora tanto brio, scandito com’è da percussioni, organo e fiati, mentre “In the Deep” vede ospite il cantante Jo Newman. Segue un pezzo quieto, come “Tom’s Song”. In quest’ultimo c’è un bel gioco di ambientazioni e pianoforte, con il violoncello suonato dal bassista Roger Sutton.
“The Waster” sarebbe potuto comparire su una specie di “Super Session”, se quel lavoro fondamentale per il blues “bianco” fosse stato risuonato di sana pianta qualche anno dopo il ’68. Davvero bello l’incedere “sonnacchioso”, con fiati, doppie voci e pianoforte.
I nove minuti di “Speed” concentrano ancora una volta, così come era avvenuto all’inizio, tutte le componenti dei Riff Raff, mettendo ogni tassello al proprio posto: belle parti vocali, a tratti aspre, esattamente come i contrappunti della chitarra, sorretti dalla collaudata sezione ritmica che non accenna minimamente a deragliare.
A voler essere completamente sinceri, forse nel primo album c’erano dei colpi di genio che qui non sono presenti; in “Orginal man”, però, la maturità è giunta a compimento e quindi non vi sono punti deboli. Dopo quest’opera, i Riff Raff (da non confondere con degli omonimi americani autori di “Vinyl Futures” del 1981) sarebbero spariti. Peccato, peccato davvero.


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Michele Merenda

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