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R-EVOLUTION BAND The dark side of the wall Wide Production 2013 ITA

Un cd di questo tipo si presta, inevitabilmente e allo stesso tempo, sia a lodi che a critiche. Lodi per il coraggio mostrato nel prendere come base un’opera così famosa e consolidata come “The wall” e per alcuni spunti musicali degni di nota; critiche per dei momenti poco riusciti (tra cui segnaliamo fin da subito una pronuncia inglese non sempre perfetta e la presenza di growls vocali che sembrano spesso stonare nel contesto) e perché è comunque impossibile uscire vincitori in un confronto (che non si può non fare, indipendentemente da quali sono gli obiettivi con cui si parte) con un lavoro che ha lasciato un segno indelebile nella storia del rock. Non bastano un “intro” ed un “outro” recitati in giapponese, una copertina in cui figura un muro scuro e nemmeno le dichiarazioni di presentazione in cui questa band si pone come fautrice di un qualcosa di nuovo. Quel paragone, scomodo, ci deve essere e non si può scappare da questo. I Pink Floyd con “The wall” hanno realizzato un disco monumentale ancora oggi idolatrato da larghe schiere di fan e che ha invece spaccato un po’ la critica. Non credo di dire niente di strano affermando che da un punto di vista musicale si tratta di uno dei momenti meno riusciti della loro carriera e che il concept, invece, è molto forte e decisamente riuscito. La R-Evolution Band, capitanata dal sassofonista e compositore Vittorio Sabelli parte dalle basi sonore di “The wall” riproponendo, in maniera personale, i temi principali che sono ben impressi nella memoria e nel cuore di molti ascoltatori e a questi ci aggiungono tanta farina del loro sacco, inserendo le situazioni sonore più disparate. I due dischi dei Pink Floyd vengono “distrutti e ricostruiti” e quelle tematiche di alienazione, paranoia, isolamento, sono per l’occasione condensate in un unico supporto per un totale di sessantasette minuti di musica. Durante l’ascolto, di tutto di più: alcune delle melodie vocali più note vengono eseguite con i fiati (in particolare “In the flesh?”, “The thin ice”, “Another brick in the wall pt. 3”, “The trial”); ci sono poi brani completamente stravolti, come “Mother”, trasformata in un blues stravagante e lentissimo, o “Comfortably numb”, riassunta in due minuti e mezzo di bizzarrie vagamente jazzistiche. E poi ci sono momenti forsennati con ritmi elettronici, aperture magniloquenti a metà strada tra musica classica e colonna sonora hollywoodiana, reggae, del sano rock chitarristico, spazi acustici, squarci orientaleggianti. Il disco in sé e per sé non è male, per la maggior parte si tratta di buona musica e, specie quando vengono ripresi alcuni dei momenti migliori dell’album originale, l’ascolto risulta piacevole. Resta però un po’ confusionario e dispersivo e pesa, come già accennato, l’inevitabile paragone con il “vero” “The wall”. Forse se la R-Evolution Band mostrasse di più le proprie idee in un lavoro veramente personale e più omogeneo, senza rifarsi a mostri sacri e semplicemente basandosi sulla propria inventiva, sarebbe capace di tirar fuori grandi cose, come dimostrano certi passaggi strumentali un po’ avulsi dai temi cardine del concept floydiano (vedi il Requiem dal sapore ecclesiastico che sostituisce “Don’t leave me now”, o le venature jazzistiche di “Cold as a waltz”, magari private di quel growl fastidioso) e che possono rappresentare le fondamenta per costruire qualcosa di più solido ed esclusivo in futuro. “The dark side of the wall” resta comunque un modo originale e un po’ eccentrico di raccontare una storia molto famosa, un modo che a momenti è molto piacevole e che a volte è invece quasi incomprensibile. Un ascolto anche gradevole, che non fa di certo dimenticare l’opera originale, qui presentata in una veste completamente nuova, molto diversa da quella a cui eravamo abituati da tanti anni e che anche per questo motivo ci lascia un po’ perplessi e storditi.


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Peppe Di Spirito

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