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SUNCHILD The gnomon Caerllysi Music 2008 UKR

Sunchild non è altro che il nuovo progetto di Antony Kalugin, tastiersta che abbiamo imparato ad apprezzare con i Karfagen, autori di due splendidi album pubblicati dalla Unicorn. Dopo un progetto parallelo come quello degli Hoggwash, l'ucraino raccoglie idee, risorse e musicisti e si mette in testa di creare un altro album di prog sinfonico, e questa volta con risultati più convincenti rispetto a "The Last Horizon". Leggendo le linee biografiche sul suo sito scopriamo che Kalugin sta esplorando sempre più a fondo il mondo del prog: partendo da "Retropolis" dei Flower Kings, prima opera prog che abbia mai ascoltato, nel 2001, ha aperto successivamente il suo cuore a Focus, Camel, Pink Floyd, ma anche a Kayak, Colin Bass e SBB. Nonostante il bel minestrone dei suoi ascolti, Kalugin mantiene comunque una coerenza stilistica di base, con richiami ben riconoscibili al repertorio dei suoi Karfagen. Troviamo quindi suoni sofisticati e patinati di tastiere, forse dal sapore troppo sintetico per questo tipo di musica, preziose arie strumentali e tanta melodia. A differenza di quanto prodotto con i Karfagen questo album appare maggiormente orientato verso un prog melodico e romantico in cui le dilatate divagazioni new age questa volta diventano occasionali e marginali. Che Kalugin abbia ascoltato i Flower Kings si capisce benissimo, forse non ha ascoltato i Marillion, ma riferimenti a "Seasons End" sono ugualmente percettibili. Troviamo ancora preziosi richiami ai Camel e ai Pink Floyd e un bell'impiego di strumenti comprensivi di bayan (la tradizionale fisarmonica a pistoni russa), oboe, tromba, violoncello, sax, trombone, flauto e clarinetto, suonati da un totale di 18 musicisti ucraini di talento che Antony ha reclutato con attenzione. A dispetto dell'assetto orchestrale della band il suono ha più la fisionomia del new prog che della musica da camera, ma i piccoli interventi disseminati nell'arco delle composizioni ne impreziosiscono decisamente gli arrangiamenti e donano un tocco di calore a canzoni che altrimenti risulterebbero assai fredde. Troviamo un album ben arrangiato, ben suonato, in cui i suoni e i vari impasti sonori legano con gusto, lo stesso gusto che traspare nelle opere dei Karfagen, ma forse l'effetto finale rimane comunque a mio giudizio troppo asettico. Un alto elemento di detrimento è rappresentato dal cantato, a cura dello stesso Kalugin, e in altre occasioni di Timophey Sobolev e Viktoria Osmachko (la voce migliore dei tre), ma per fortuna sono le parti strumentali a prevalere, e sono tutte abbastanza fantasiose, con belle linee melodiche, il che ci permette di completare l'ascolto di un album lunghissimo come questo (ben due CD con un paio di suite lunghe di 26 e 20 minuti, per un totale di quasi 100 minuti di musica… e questo deve averlo mutuato sicuramente dal suo primo amore prog: i Flower Kings!) senza troppi patemi. Il giudizio complessivo è abbastanza positivo, anche se le tante idee disseminate in questo lavoro potrebbero essere sicuramente messe meglio a fuoco, per questo album a volte dispersivo e spesso un po' apatico, nonostante i buoni spunti che comunque possiamo apprezzare.

 

Jessica Attene

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