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SIMON SAYS Tardigrade Progrock Records 2008 SVE

Allora, io vi scrivo una frase e voi la leggete con il tono che più vi aggrada. La frase è: “Un altro concept album”.
I Simon Says sono un gruppo svedese alla terza uscita, inoltre hanno partecipato e parteciperanno ancora, ad altri lavori con la Colossus (Kalevala, Odyssey e Inferno). Le tre uscite ufficiali sono state piuttosto dilatate nel tempo: 1995, 2002 e questo 2008. Il gruppo ruota essenzialmente attorno ai due elementi storici Daniel Fäldt alla voce e Stefan Renström polistrumentista che nei vari lavori si è trastullato tra basso, tastiere, chitarre, flauto, ecc.
Il titolo e il concept prendono spunto dai tardigradi, ossia dei minuscoli invertebrati con una caratteristica unica nel regno animale, la criptobiosi, cioè la capacità, in caso di avverse condizioni alla vita, di sospendere in modo assoluto tutti i cicli funzionali e vitali anche per molti anni e quantomeno fino al rientro delle avversità. Al risveglio il mondo è invecchiato del tempo trascorso, ma loro no. In condizioni di criptobiosi possono sopportare radiazioni, sconvolgimenti climatici, temperature mortali per qualsiasi essere vivente, ecc. Ad una catastrofe nucleare totale potrebbero essere le uniche specie a sopravvivere.
Il concept parte proprio da qui e il protagonista, guarda caso chiamato Tardigrade, si sveglia dopo un sonno secolare e trova il mondo nelle sue nuove condizioni, in pratica un tecno-disastro di cyber-guerre, governate attraverso computer di ignari giocatori. In questo ambito si muove Tardigrade con un ruolo messianico di rilevanza.
Non si è detto ancora nulla della musica e direi che sia il caso di iniziare. La musica dei Simon Says si potrebbe riassumere come una sorta di new prog, ma con ampio utilizzo di suoni vintage e acustici, tanto da farne un qualcosa di diverso dal new prog canonico e avvicinarlo maggiormente ad un sinfonico estremamente variabile, forse anche grazie ai cambi di line-up e all’utilizzo di tematiche ora genesisiane, ora yessiane, fortemente personalizzate da quella che è l’impronta vocale di Daniel Fäldt che risulta essere un mix tra Dave Lee Roth, Midge Ure e Cyrus dei Citizen Cain, un bell’impasto di calore, potenza ed estensione che ben si adatta a tutti i movimenti del disco.
Musicalmente questo lavoro mi piace ancor più dei già buoni precedenti due lavori, gli sviluppi armonici sono più importanti e affrontati con maggior serietà ed impegno. Immagino che il nuovo line-up sia stato fondamentale per questo salto qualitativo, ma i numeri positivi si intravedevano già e quindi si può parlare di conferma di aspettative, cosa che di questi tempi di crolli repentini è già di per sé un dato assolutamente buono. Per serietà armonica intendo dire che sono spariti anche quei pochi momenti sbarazzini e goliardici, quelle infantili (ma sicuramente divertenti) divagazioni che di tanto in tanto comparivano nei precedenti dischi.
Si è detto di Yes e Genesis e in effetti i riferimenti principali rimangono quelli, rispettivamente nel periodo con Hackett ma senza Gabriel e Going For The One/Drama, numerosi sprazzi new prog, vagonate di mellotron, ritmi spesso incalzanti, qualche sbotto di AOR alla Yes di 90125, grande uso di tastiere e chitarre abbinate, ma anche momenti più rilassati e acustici molto intriganti. La musica qui scorre compatta, omogenea e il picco compositivo della suite non è di troppo più elevato di alcune parti degli altri brani, anzi, spesso si trovano dei veri momenti progressivamente stuzzicanti in ogni brano. L’utilizzo di strumenti vintage è sicuramente indovinato, quei suoni ci piacciono, rendono tutto immediatamente fruibile. Tutti i brani che vanno dai 29 secondi ai 26 minuti e oltre hanno momenti apprezzabilissimi con melodie accattivanti e coinvolgenti e, senza ovviamente dover credere ai miracoli, fanno sì che il disco scorra molto piacevolmente. Da citare sicuramente la suite “Brother Where You Bound”, notevole specie nella sua seconda metà, “Circles End” brano clone di “Entagled” dei Genesis, ma anche gli altri due brani lunghi “As The River Runs” e “Suddenly The Rain” ricche di molti cambi e di spunti melodici piuttosto riusciti.
Bel disco, per certi versi il migliore della carriera, anche se non sono troppo deciso in tal senso. Suoni molto professionali, incisione perfetta, tecnica strumentale di alto livello, una voce che canta in modo giusto, chi ama il prog romantico, complesso, ma senza troppa craniosità, si accomodi e proceda all’acquisto con tranquillità.

 

Roberto Vanali

Collegamenti ad altre recensioni

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