Home
 
SLOCHE J’un oeil Sony Music 1975 (ProgQuebec 2009) CAN

Finalmente la ProgQuébec colma un grosso vuoto pubblicando la ristampa di entrambi gli album degli Sloche, dando l’occasione agli appassionati di ascoltare due opere di grande spessore, stupefacenti per la varietà e la qualità dei propri contenuti musicali. Il credo musicale della band era quello di far coesistere, anche nell’arco della stessa canzone, diversi stili musicali e di affrontare contemporaneamente diversi temi melodici che si intrecciano fra di loro, prendendo a volte direzioni inaspettate. Il gruppo possedeva delle indubbie capacità che si estrinsecavano già in fase di composizione. Il risultato è una musica eclettica e stratificata, stimolante e allo stesso tempo piacevole da ascoltare, un esempio, per quel che mi riguarda, di tutto quello che un pezzo Prog dovrebbe offrire al suo pubblico. Abbiamo già affrontato su Arlequins il secondo album, “Stadaconé”, con una “relic” e cogliamo ora l’occasione di questa ristampa per parlare del debutto discografico ed approfondire la biografia del gruppo.
Gli Sloche nascono su iniziativa di Pierre Bouchard, figlio d’arte di due celebri pianisti, che reclutò, nel 1971, una serie di musicisti, alcuni dei quali provenienti dal conservatorio del Québec. Il primo nucleo della band era quindi costituito da Marcel Périgny alla chitarra, Jacques Collin al basso, che verrà presto rimpiazzato da Pierre Hébert (figlio di un noto pianista jazz e studente al conservatorio), Fernand Paré alla batteria e Réjan Yacola alle tastiere. A questi si aggiunse successivamente un secondo chitarrista, Caroll Bérard, anch’egli studente al conservatorio. Il gruppo si riuniva spesso in sala prove e questa rigida disciplina, che gli consentì di crescere ed evolversi rapidamente, portò però alla sostituzione di un paio di membri, Bouchard e Paré, che furono rimpiazzati rispettivamente da Martin Murray (tastiere e sax) e da Gilles Chiasson (batteria), entrambi studenti al conservatorio. Anche Périgny lasciò e le sue parti furono divise fra i due tastieristi e l’altro chitarrista. Nel 1973 la band preparò un demo negli studi di Montréal e si mise in evidenza in diversi eventi live, come il Festival International de la Jeunesse Francophone, nell’Agosto del 1974. Alla fine di quello stesso anno un incendio distrusse tutto il corredo strumentale della band che riuscì ad aprire per i Gentle Giant nella città di Québec, grazie a un negoziante che gli prestò l’equipaggiamento. Nell’estate del 1975 gli Sloche ottennero, proprio grazie alla partecipazione a quest’evento, un contratto con la RCA che dava loro carta bianca circa il contenuto musicale dell’opera.
Il risultato lo possiamo apprezzare in questa bella ristampa, che si compone di 5 canzoni, prevalentemente strumentali e dallo stile decisamente eclettico. I due tastieristi svolgono un ruolo chiave e possono contare su un arsenale di strumenti di tutto rispetto, comprendente Fender Rhodes, Wurlitzer, Minimoog, Clavinet, Celesta ed Hammond B3. Gli intrecci tastieristici sono complessi e deliziosamente sinfonici, con splendide virate jazz ed elettroniche e molto spesso il loro operato interagisce in maniera dinamica con la chitarra. I pezzi si sviluppano in maniera davvero imprevedibile e si lasciano apprezzare per la loro piacevole complessità. I riferimenti alla musica classica sono numerosi, così come sono numerosi i punti di contatto con i classici del prog britannico, Yes ed EL&P in primis. I suoni sono sgargianti ma sempre eleganti e mai tronfi o inutilmente pomposi. “C’pas fin du monde”, la traccia di apertura, ci spiazza subito con il suo incipit elettronico che si trasforma in un’esplosione festosa dal sapore prog fusion, con belle parti corali e bei richiami ai Gentle Giant e alla Mahavishnu Orchestra. La seconda traccia è quella più lunga e quella che rappresenta forse la vetta di questo album, “Le karême d’Eros”, che si apre con una lunga e splendida sequenza di piano alla Emerson, che si estende per quasi quattro minuti. L’intero album non presenta comunque neanche un minimo segno di cedimento e appare ben realizzato e studiato, dinamico, ricco, vitale ed anche imprevedibile. E’ pieno di motivi e temi musicali che classicamente siamo abituati ad associare alle forme del progressive e che non possono non soddisfare gli appassionati di questo genere musicale. L’invito è quello di scoprire questa band, a maggior ragione ora che potete contare su ristampe legittime realizzate ad arte. Non sono presenti bonus, ma la qualità sonora è alta e a corredo viene fornito un bel booklet con le foto e la biografia del gruppo.



Bookmark and Share

 

Jessica Attene

Italian
English