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SKY ARCHITECT Excavations of the minds Galileo Records/ProgRock Records 2010 NL

Usciti freschi freschi dall’Accademia Pop di Rotterdam, forti di un artwork firmato da Mark Wilkinson (il celebre illustratore delle copertine dei Marillion) e con un concept che tenta di entrare nella testa disturbata di un malato psichiatrico, gli Sky Architect si gettano fiduciosi nel mercato discografico. A loro il merito di aver fatto il primo importante passo della loro carriera, quello dell’album di debutto, con una organizzazione appropriata, cercando di curare ogni dettaglio, dalla preparazione tecnica, all’artwork, al procacciamento di un contratto con un’etichetta discografica che ha una certa esperienza in ambito progressive rock, tentando di evitare quindi inutili e dannosi passi falsi. E in effetti ascoltando questo album si percepisce un grandissimo impegno che è stato riversato ovviamente anche nella scrittura dei pezzi che appaiono ricchi, variegati e anche attentamente studiati. L’intento della band è quello di realizzare un album attuale ma che inequivocabilmente porti in sé i semi del glorioso progressive rock britannico d’annata. A questo scopo, nell’ambito di una architettura abbastanza dinamica e dall’impatto moderno, vengono inserite sonorità vintage e tanti riferimenti ai grandi illustri del passato. E’ così che troviamo nello stesso contesto elementi pop e vistosi richiami alla musica classica, con sgargianti barocchismi che fanno a pugni con soluzioni cantabili e decisamente più dirette.
L’apertura vuole essere col botto e vi aiuterà sicuramente a capire di che panni si vestono questi cinque olandesi: tutto si gioca nella suite “Deep Chasm” che si sviluppa in quattro parti non lunghissime per un totale di circa 18 minuti. Il primo suono che possiamo ascoltare è quello del Mellotron (o più verosimilmente di un suo emulatore digitale) che si intreccia subito a ritmi elettro-pop in un ibrido stravagante. Il pezzo lievita all’istante attraverso ritmi movimentati con aperture classicheggianti d’effetto per poi impaludarsi, quando inizia il cantato, in un’aria malinconica alla Porcupine Tree/ Pink Floyd che gioca su un ritornello accattivante in cui la parola “paranoia” risalta in maniera ammiccante. Nella sequenza strumentale centrale vengono inseriti assoli di chitarra potenti, con tastiere incalzanti sullo sfondo, e lo stesso tema melodico viene ripetuto in maniera ipnotizzante di quando in quando, con diversi registri sonori, ora vintage, ora moderni. E’ poi la volta di un ampio intermezzo di solo piano cui segue la ripresa del ritornello Floydiano e sulla fine del pezzo viene persino inserita una sequenza recitata che vuole dare l’idea del tormento e dell’instabilità emotiva. Un bel biglietto da visita, non c’è che dire, ma mi sento comunque di obiettare che il tutto ha forse un sapore un po’ troppo artificiale e di costruito a tavolino. Inoltre non mi convincono molto le scelte ritmiche, che a tratti hanno quasi il sapore di un file midi e sicuramente nel repertorio degli Spock’s Beard o anche dei Flower Kings, che immagino fra le influenze principali di questi ragazzi, possiamo trovare idee più fresche e meglio imbastite di queste. Nella seconda metà dell’album troviamo 4 tracce, di cui due abbastanza lunghe (12 e 11 minuti) e due piuttosto brevi che fanno un po’ da riempitivo. La sensazione è comunque quella che i fuochi artificiali siano già stati sparati e, nonostante le buone trovate, lo strumentale “The Grey Legend” procede forse un po’ a singhiozzo. La title track si divide fra chitarre roboanti, ai confini del metal, e cori sognanti, lambiti da una morbida base di Mellotron, creando contrasti abbastanza efficaci. Insomma, giudizio positivo ma con diverse riserve per questo album che presenta buone idee di base, diversi contenuti ma che si rivela in sostanza abbastanza sconclusionato. Mi attendo in futuro una maggiore spontaneità, un drumming meno pestato, più dinamico e raffinato nelle scelte ritmiche e nuove idee per questa band che ha tanta voglia di emergere e sicuramente ancora tanto spazio per maturare.



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Jessica Attene

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