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VALERY SIVER AND KIRYLL TREPAKOV Music from Russian pages Electroshock Records 2010 RUS

Giunge al suo secondo capitolo la collaborazione fra Siver e Trepakov (da notare che in questo secondo disco il nome di Trepakov è traslitterato in maniera diversa, “Kirill”, rispetto al debutto) e ancora una volta il duo esplora soluzioni musicali ariose e melodiche con una formula che ricorda abbastanza l’esordio, pur seguendo trame sonore narrative diverse. Abbiamo quindi i suoni acustici di Valery Siver, che suona chitarra acustica e piano, e quelli sofisticati di Trepakov, con le sue tastiere, i suoi effetti elettronici ma anche il basso. L’idea è quella di imprimere a queste composizioni dei sentimenti che derivano dalla lettura di opere classiche della letteratura (e non solo) russa. Ancora una volta quindi gli stati d’animo, legati a situazioni letterarie ben definite, prevalgono sull’esigenza di creare sensazioni musicali astratte e la musica, lineare ed ariosa, è una specie di grande matrice in cui calare la narrazione del racconto, un ambiente che avvolge tutto in maniera delicata. Vedrei bene questa musica anche come sottofondo per la lettura dei versi degli scrittori scelti come fonte di ispirazione per queste novelle sonore. Le opere letterarie selezionate, lo abbiamo detto, sono dei grandi classici russi e si passa quindi dall’opera incompiuta, “Le anime morte” di Gogol, alle novelle di Pushkin, finendo poi con il “Dottor Zhivago” di Pasternak. I richiami alla tradizione musicale folk sono però molto labili e rappresentati da qualche vago elemento, riconoscibile magari da chi ha confidenza con questo genere, ma non molto ben individuabile ed evocativo per gli altri. Dico questo non come elemento di critica ma per chiarire meglio l’ispirazione di quest’opera che, a prima vista, avrebbe potuto invece far pensare a qualcosa di più caratteristico. A Siver e Trepakov non interessa il “folklore” in sé, ma interessa ricreare delle emozioni e degli stati d’animo. Ce ne rendiamo conto ad esempio ascoltando “The Fetters of Reality”, ispirata al “Dottor Zhivago”, divisa in due parti, la prima collocata al centro dell’album e l’atra in chiusura: il piano, suonato con rassegnazione e dolcezza genera un sentimento di tormento e sullo sfondo, una sorta di rumore bianco, serve quasi a far materializzare il freddo, dando l’impressione della tormenta di neve che reca sofferenza al corpo ma anche all’anima. Allo stesso tempo questo effetto di disturbo, che copre le note limpide del piano, rende ogni sentimento lontano ed attutito. La seconda parte della composizione appare invece più strutturata e moderna, ed il piano diventa solo un particolare nell’insieme dei loop elettronici e delle melodie artificiali ed astratte. Anche “Russian Troyka”, il pezzo basato su “Le anime morte” di Gogol, è divisa in due parti separate, ed in maniera analoga troviamo una prima composizione più leggera ed aleatoria in cui, tra i suoni rarefatti, emerge questa volta la chitarra acustica, su una base ritmica elettronica cadenzata e ripetitiva; c’è poi una seconda parte che riprende a tratti le linee melodiche della prima ma che evolve secondo corridoi più futuristici e moderni. Personalmente preferisco i momenti in cui i suoni e le emozioni si fanno più sfumati, come “Childhood in the URSS”, ispirato questa volta ai film di Mikhalkov, in cui si può leggere una delicata linea melodica tracciata dal piano e in cui gli effetti amplificano le emozioni di ascolto creando delle belle suggestioni. Insomma, un album riflessivo, prevalentemente ambient, che può rappresentare la naturale evoluzione del percorso sonoro inaugurato dal precedente “Midway” e consigliato ad un pubblico, anche non esperto, che comunque prova interesse per la musica elettronica.


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Jessica Attene

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