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PEKKA STRENG Magneettimiehen Kuolema / Kesamaa Love Records 1970 / 1972 (Love Records 2008) FIN

“Sono stato tanto tempo via da voi, da questo tempo, da questa città. Sono più leggero dell’aria e molto difficilmente visibile. Non posso nemmeno parlarvi. Sono morto. – o meglio dire: ero morto, ma con mia sorpresa trovai me stesso un pomeriggio a sfogliare i giornali su una panchina in un parco, completamente di carne e in buono stato. Fu come un flash, ed immediatamente svanì. Da quel momento mi resi conto di essere “vivo”. Quando partii ero ancora bambino. Ricordo, come un corpo fragile fu coperto da una vecchia tenda della finestra. Dopo di che, senza alcun dubbio crebbi un bel po’. Divenni un uomo riuscito e intraprendente. Tutto sarebbe stato perfetto e io avrei potuto vivere con tranquillità la mia vita insieme e separatamente sia nella forma più grossolana che in quella più raffinata, ma notai, che il mio io terrestre era cosi sprofondato, nel tipico letargo di quell’epoca, che non potevo abbandonarlo. – Decisi di riscendere nella materia. All’inizio il pensiero sembrava sgradevole benché in questa situazione fu un sacrificio per me stesso, ma più lo pensavo, più notavo aspetti attraenti nella mia vita terrena. Vecchi ricordi traboccavano dalla mia coscienza. Le cose piacevoli che avevo creato cominciavano ad aumentare e quando non cercavo di controllare la mia immaginazione, riscendere nella materia alla fine diventò una necessità obbligata. Sto sospeso sopra la mia futura città. Il suo significato per me aumenta momento dopo momento. Altresì mi diventa sempre più comprensibile. Ogni pensiero che ho razionalizzato attraverso le parole mi porta più vicino a voi. –Questo è angosciante. La mia memoria.”
(traduzione alquanto pessima del sottoscritto con il supporto della moglie finlandese).
Questo testo, forse un po’ contorto in alcuni punti (anche a causa del traduttore), ma sicuramente affascinante, stampato sul vinile “Magneettimiehen Kuolema”, la morte dell'uomo magnetico, acquisisce certamente maggior spessore se associato alla vita di Pekka Streng, autore dell’album, cantante e poeta finlandese che nel 1970 anno di pubblicazione dell’album era già a conoscenza da 3 anni di essere malato di un tumore, che 5 anni dopo l’avrebbe portato alla morte. Questo suo triste destino caratterizzerà profondamente tutta la sua musica, sempre intrisa di un velo di malinconia anche nei momenti più leggeri, ma allo stesso tempo renderà Streng una delle figure culto dell'underground finnico, pur in assenza di un grande seguito in Finlandia. Il suo originale folk psichedelico è caratterizzato da venature jazz e progressive, a tratti un po’ naïve, ma sicuramente sincero e accattivante. La sua è una voce dolcemente stonata, che intona melodie che inizialmente sembrano cantilene, ma che ascolto dopo ascolto ti entrano e ti penetrano dentro. Indiscutibilmente un ruolo importante lo hanno anche i testi che, ora pregni di un ingenuità fanciullesca, ora forti di un adulto sconforto, servono solo ad impreziosire la sua musica e non sono vincolanti per poterla apprezzare pienamente. Pekka ha il grande merito di riuscire ad esprimersi con semplicità a prescindere dalle parole: dalla sua musica traspira ogni emozione che vuole comunicare. Il suo stile è personalissimo e solo vagamente può ricordare due grandissimi autori come Syd Barrett e Nick Drake.
La Love, storica casa di produzione finnica (Tasavallan, Wigwam, ecc…) ha recentemente rimasterizzato entrambi i suoi due album in un mini cofanetto. Non a caso il primo disco del 1970 "la morte dell'uomo magnetico" esce a nome di Pekka Streng e Tasavallan Presidentti, infatti proprio Tolonen e compagni al completo affiancano Pekka nella realizzazione curandone gli arrangiamenti. L’album si può considerare una vera pietra miliare della musica finlandese, Streng è autore di tutti i brani e, partendo da una base folk, svaria in contesti spesso psichedelici, alle volte addirittura quasi sperimentali, altre più riconducibili alla musica per bambini e, come ogni buon album di quel periodo che si rispetti, immancabili sono anche le influenze indiano/orientali. E’ forse a tratti un po’ discontinuo ma Pekka dà il meglio di sé nelle atmosfere cupe e in quelle infantili che, per nostra fortuna, sono molto presenti.
I Tasavallan riescono a dare un vero valore aggiunto all'album ornando e punteggiando le tristi melodie di Pekka senza mai volergli rubare la scena, donando al disco un sapore progressivo che certamente farà piacere a tutti coloro che leggono questa recensione.
Il disco inizia morbidamente con la chitarra acustica e la voce di Pekka. “Gilgamesh” è uno dei pezzi più belli dell'album che, come l'autore stesso, si spegne improvvisamente proprio nel momento in cui sta iniziando. In netto contrasto con la prima traccia arriva un suono stridulo seguito da un grido glaciale che ci introduce nella città fredda (“Kylma Kaupunki”), altro pezzo splendido, tetro e gelido. Si prosegue su livelli elevatissimi con “Olen Erilainen” (Sono differente), dove la chitarra di Tolonen si destreggia in un’atmosfera indiana, con la voce che echeggia in sottofondo e fa da introduzione all'euforico pezzo successivo dove Pekka invita tutti ad una festa su una lingua lunga (“Pitka Kieli”) accompagnato da flauto, bonghi e da una chitarra folkeggiante.” Makea Sandra” (Dolce Sandra) è un pezzo più cantautoriale che nella parte centrale si colora di sfumature psichedeliche. Arriva poi la canzone dell'insetto che va a dormire sulla rosa (“Laulu Hyonteisesta joka Nukahti Ruusun Vuoteeseen”) e si ritorna alle atmosfere piene di magia e un po’ fanciullesche della prima traccia. “Takaisin Virtaan” (Tornare nella corrente) è un pezzo abbastanza convenzionale anche se gli arrangiamenti, psichedelici e leggermente (ma piacevolmente) ingenui dei Tasavallan, gli danno sempre quel qualcosa in più. L'album scende di tono con il blues di “Olen Elain” (Sono un animale) ed il successivo pezzo “Ahnehtiva Kud” parte sempre in bilico tra blues e rock concludendosi poi in maniera stralunata. Nella decima traccia, dopo essere stato diverso e un animale, Pekka è stanco (“Olen Vasynyt”). E’ questo un pezzo quasi avanguardistico dove suoni astrusi fanno da accompagnamento al suo parlato. L'album si conclude nel migliore dei modi con la splendida ballata “Sisaltani Portin Loysin” (Ho trovato una porta dentro me) che è forse anche il pezzo più conosciuto.
Passiamo ora al secondo album del 1972 “Kesamaa” (terra d’estate), pubblicato solo due anni dopo, che appare profondamente diverso dal primo, rispetto al quale è meno famoso ma ugualmente bello. Il disco si rivela molto più maturo e la sua componente jazz è molto più marcata, con inaspettate contaminazioni con la musica brasiliana. Un ruolo importantissimo ovviamente lo ha anche la band al suo seguito in cui è presente tutto il gotha della scena jazz finlandese, da Eero Koivistonen a Olli Ahvenlahti, per finire a Pekka Poyry. Le atmosfere qui sono meno scure e psichedeliche e più bucoliche. Anche qui non mancano le canzoncine per bambini, sempre di altissima qualità a partire dalla prima traccia: la gnomettosa “Mimosaneito” (Signorina Mimosa), canzone che evoca spiriti e folletti delle foreste finniche. “Kaukana” (Lontano) è quasi completamente strumentale e solo nel finale entra in scena una voce appena sussurrata. “...ja Tuittu Ruusut Sai” (e Tuittu ha ricevuto le rose) è la solita deliziosa canzoncina per bimbi cantata da Pekka, con il testo scritto da Tove Jansson famosissima autrice di romanzi per ragazzi creatrice dei Mumin. Solare e frizzante arriva “Perhonen” (Farfalla), molto vivace e con spunti jazz. Nella successiva “Auringon Lapsi” (Figlio del Sole) Pekka si riveste da cantastorie accompagnato da chitarra e percussioni. Si ritorna a toni meno rassicuranti con “Kanttorinpoika Max” (Max il figlio dell’organista), in cui una musica abbastanza cupa e tetra accompagna un testo altamente drammatico che parla di Max che viene incatenato ad un organo in una cantina. Il pezzo si conclude con una parte d’organo abbastanza stereotipata tipica di un qualsiasi film horror.
“Katsele Yossa” (Guarda nella notte) è uno splendido pezzo acustico e malinconico di bossanova. Con “Matkalaulu” (Canzone del viaggio) si torna ad un pezzo più propriamente cantautoriale, accompagnato da un sax. “Roope Hattu” (il cappello di Zio Paperone) riprende le sfumature più psichedeliche del primo album. Arriva quindi uno dei pezzi più belli dell’album “Annabella”, una ballata jazzata dolce ma non melensa, accattivante, accompagnata dallo splendido flauto di Pekka Poyry. Deliziosa anche la successiva “Serenadi” (Serenata), breve ma intensa con la voce accompagnata unicamente dal piano. Si ritorna di nuovo in Brasile con “Puutarhassa” (In giardino), ritmata con pianoforte e organo. Si conclude con una canzone dal gusto retrò e dal titolo emblematico “Mutta Mina Lahden” (Ma io parto) che allude alla fine prossima del cantante.
Entrambi gli album contengono 4 bonus track che sono versioni demo di pezzi già presenti e nulla aggiungono e nulla tolgono al loro valore. Per concludere, Pekka in questi due album, spesso imperfetti, ci regala moltissime emozioni mettendo a nudo la sua anima. Pur essendo in essi forte la componente cantautoriale, le musiche e gli arrangiamenti sono ricchi e molto curati e per questo possono essere appetibili anche al pubblico progressive


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Francesco Inglima

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