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SCIENCE NV Pacific circumstances autoprod. 2010 USA

Per questa seconda uscita il quartetto degli studi medici di San Francisco, dà segno di non volersi discostare troppo da quanto fatto nel CD autoprodotto d’esordio del 2008. Quindi momenti di ispirazione classica si fondono alla tradizione progressive inglese, tra partiture crimsoniane o (più spesso) trame sinfoniche più scorrevoli che rimandano a certi Sky o ai Pink Floyd più pastorali o, ancora, ai Camel o a chiunque altro si abbia voglia di ritrovare nelle molteplici fonti di ispirazione di questi giovanotti. Passato il primo brano, “H1NV7” in cui gli sbotti di chiara origine emersoniana si legano a trame un po’ più intricate e di provenienza frippiana, ecco che tutto il resto del lavoro cambia faccia, quasi che il preambolo sia messo lì per stuzzicare e, potenzialmente, non ripetersi.
Infatti già dal secondo brano le cose cambiano: ci troviamo di fronte ad una rielaborazione della nota “Danse Macabre” di Camille Saint-Saëns. Gli spunti molto sintetici (artificiali) degli strumenti scelti per la rappresentazione sono molto distanti dalle scelte ottocentesche dell’autore, ma tant’è la resa non è neppure malaccio. Nella prosecuzione del disco salta fuori veramente di tutto: ci sono spunti di musica salsa brasiliana, brevi strappi jazz rock, momenti più complessi quasi hackettiani, trame sonore che possiamo collocare tra ambient e space rock e, a governare il tutto, lo spirito sinfonico e orchestrale a cui la band ormai vuole abituarci.
La gestione del quartetto è molto democratica e tutti hanno il loro bel momento per dimostrare che, pur essendo la medicina il loro lavoro, con gli strumenti ci sanno fare e che la composizione è una cosa a cui si dedicano con grande passione.
Tra i brani è doveroso parlare della lunga “Conflicted”, decisamente crimsoniana nel suo arpeggio centrale, più che una composizione sembra quasi una citazione periodo “Discipline/Beat”, “Quadrapole” è di tutt’altra pasta nel notevole suo sviluppo onirico e ipnotico a metà tra gli ampi tracciati del post rock e le scarne geometrie dei corrieri cosmici. La conclusiva “Oroborous Variations” dai tratti emersoniani, ma che sa scendere anche in calde atmosfere dell’hard blues e poi spostarsi su asciutte variazioni tonali che hanno un ché di zappiano, ma le tessiture cambiano repentinamente e alla fine dei conti, tra una citazione e l’altra, tra movimenti più eterei e altri più ricchi ed aggressivi, anche questa volta arriviamo alla fine, soddisfatti di avere in mano un prodotto piacevole, certamente non nuovo e consapevoli delle sue mille sfaccettature riconoscibili e riconosciute, ma che ci ha saputo dare un’ora di musica soddisfacente.


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Roberto Vanali

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