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SIDERA NOCTIS From lost space autoprod. 2010 ITA

Come la luce delle stelle giunge a noi da tempi e spazi lontani, così questa musica sussurra alla nostra immaginazione visioni del passato, e lo fa in maniera semplice e gentile, mescolando elementi di musica antica, rinfrescati da una forma moderna. Sidera Noctis è un quartetto veneziano di formazione accademica che ripropone e rielabora motivi del medioevo, del rinascimento e arie della tradizione celtica ma che compone anche musica propria, sfruttando queste stesse correnti emozionali. La delicatezza della loro proposta si intuisce già dall’assetto dei musicisti: Antonella Bresolin al canto, percussioni e viola da gamba, Mariagrazia Onesto alle tastiere, Roberto Pusterla ai flauti dolci e traversi e Mauro Martello (che qualcuno sicuramente ricorderà fra le fila degli ultimi e rinati Opus Avantra) ai flauti dolci, traversi, whistles e duduk (flauto tipico dell’Armenia).
Troviamo quindi il suono leggero ed elegante dei flauti, ma all’occorrenza anche rustico quando viene scelta la variante in legno, il timbro vellutato della viola da gamba, le tastiere, spesso artefici di una ambientazione di sfondo dal sapore new-age, impalpabile come un fitto pulviscolo, ma a volte utilizzate con il registro del clavicembalo, a creare incantevoli impressioni barocche. A ricamare questo morbido tessuto c’è poi la voce di Antonella Bresolin, carica anch’essa di suggestioni antiche ma che comunque immagino simile, forse per il sottile filo celtico che lega alcune delle più belle melodie di questo album, a quella dei canti elfici di Tolkeniana memoria. La breve ballata “Portrait of a Knight”, cucita con arrangiamenti leggeri e pittoreschi, è proprio uno di quei momenti fiabeschi che sembrano provenire dalla Terra di Mezzo, anche se la storia racchiusa nel testo in inglese, che narra della precoce morte di uno sconosciuto cavaliere (ispirata ad un celebre quadro di Carpaccio), non ha nulla a che vedere con i personaggi di questo mondo illusorio. I riferimenti a Tolkien si fanno comunque più concreti nel pezzo firmato da Mauro Martello, “Sidera Noctis”, che sfoggia un bellissimo testo in Sindarin di Chiara Borgonovi, impreziosito da una base musicale sinfonica e romantica dai riflessi antichi. Al filone celtico riconduciamo invece la allegra “Cooney Reel”, una danza tradizionale scandita dal ritmo del bodhrán, anche se, come accennato, una simile ispirazione proveniente da queste lande la possiamo cogliere qua e là durante l’ascolto dell’ intera opera. Fra le tante curiosità qui raccolte, per farvi capire la mescolanza di elementi di cui è composto questo album, troviamo “Fame la nana”, una nenia in antico dialetto veneto che acquisisce in questa rielaborazione una strana dimensione onirica e surreale. Fra le rielaborazioni più affascinanti cito quella del celebre tema musicale portoghese seicentesco noto come “La Follia”, qui illuminato da un solenne spirito barocco, con belle variazioni e ritmi vivaci forniti da percussioni discrete ma efficaci, già terreno di studio di illustri autori come Arcangelo Corelli e Antonio Vivaldi. Fra i pezzi più belli vorrei segnalare “Helori”, uno strumentale scritto ancora da Mauro Martello, in cui si fondono le varie anime del quartetto, in un insieme fresco e coerente ma che lascia intravedere diverse fonti di ispirazione. Il brano corre veloce su intrecci di flauto dal sapore celtico e sui delicati sospiri della viola da gamba, creando una dimensione che evoca impressioni che hanno in sé qualcosa di arcaico ma che in fin dei conti appaiono al di fuori di ogni linea temporale. Sempre ad opera dello stesso artista, cito il pezzo di chiusura, “Keplero”, che, a differenza degli altri, acquisisce nella sua seconda parte un’impronta rockeggiante, grazie all’inserimento della batteria elettronica e ad orchestrazioni più spesse. Questo esperimento conclusivo dimostra concretamente che le idee dei Sidera Noctis possono trasformarsi in qualcosa di molto più vicino al Progressive Rock nel senso più classico del termine e riesco a intravedervi dei grossi potenziali, soprattutto per il fatto che scarseggiano nel nostro panorama odierno band di tradizione accademica che mescolino musica antica e Prog… ma sto parlando di ipotesi personali e remote di sviluppo e non so se in effetti questa possa essere la vera vocazione di questo quartetto. Il senso del mio discorso è che lascerei proprio stare la drum machine in favore delle percussioni tradizionali e di uno spartito più arioso, a meno che non si innesti nella band un pool di strumenti rock.
A parte questa piccolissima annotazione, che non scalfisce il senso generale dell’opera, non posso che promuovere questo lavoro di esordio, semplice nella forma ma ricercato nei contenuti, bello per la mescolanza delle varie influenze musicali, ricco di idee buone ed affascinanti che potrebbero portare in futuro (e me lo auguro di cuore) ad un vero e proprio capolavoro se il gusto, lo stile e le capacità di questi musicisti venissero convogliati nella scrittura di un’opera totalmente autografa (le riproposizioni qui sono superiori in numero rispetto alle tracce originali), seppur screziata di riferimenti colti puntuali, piena e matura.


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Jessica Attene

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