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SYMPHONY X Iconoclast Nuclear Blast 2011 USA

In realtà la band di Mike Romeo e Russell Allen non è mai rientrata tra gli ascolti preferiti del sottoscritto. Avendo sentito solo “The Damnation Game” e “On the Wigs of Tragedy”, molto decantati a suo tempo, l’opinione non era affatto delle migliori. Uno sterile rifacimento dei primi Rising Force del biondo crinito Yngwie Malmsteen, che denotava una mancanza di spessore oggettivo alla base dei pezzi. E poi, nonostante qualche presunto controtempo, proprio non si capiva la nomea di prog metal band.
Quindi, fidatevi se in questo spazio viene scritto espressamente che “Iconoclast” è un gran bell’album di symphonic metal con evidenti riferimenti al prog e che quindi può tranquillamente essere goduto da chi ama l’ala più dura del genere.
Non conoscendo gli album immediatamente precedenti, non si è in grado di fare paragoni; ma l’ultima fatica degli statunitensi merita davvero di essere ascoltata e riascoltata per coglierne ogni passaggio.
Una sorta di concept che tratta la lotta tra l’uomo e la tecnologia che rischia di cancellare qualsiasi traccia di umanità, come può essere colto in “Dehumanizer”, terzo brano in scaletta ed una delle migliori track di tutto l’album, con un grande assolo di Romeo; proprio quest’ultimo dimostra di essere cresciuto tantissimo nel corso degli anni, non limitandosi ad esibire la classica tecnica Malmsteeniana ma proponendo qualcosa di più personale. Diciamo che ora si tratta un tipo di neo-classicismo più vicino al miglior Vinnie Moore, con un uso massiccio del whammy che, in alcune esecuzioni, potrebbe essere accostato al John Petrucci solista più heavy.
Ottima la sezione ritmica, col bassista Mike LePond ed il batterista Jason Rullo che non si limitano a fare i “metronomi” ma che invece risultano parte attiva dei brani, dando “colore” e varietà con controtempi ed inventiva.
Le tastiere di Mike Pinnella sono belle presenti, sempre pronte a fare da contraltare alle chitarre di Romeo, come testimonia “Prometheus (I am alive)”, che nella lunghe parti strumentali farà la gioia di qualsiasi prog metal fan. Proprio da questa traccia si può tranquillamente analizzare la prova vocale di Allen, capace di passare da un gutturale truce (ed anche un po’ tamarro!) a delle note stentoree prese di petto.
Ciò si innesta alla perfezione su quello che è il leit-motiv dell’intera opera: un cipiglio per la stragrande maggioranza aggressivo, come la storia richiede, ma con dei ritornelli comunque parecchio musicali e memorizzabili che rendono i brani fruibili. E così, la lunga ed iniziale title-track parte a spron battuto, con minacciosi suoni tecnologici, ma si snoda lungo dei refrain epici, come del resto “The End of Innocence” (ottime ancora una volta le tastiere) e “Children of a Faceless God”.
La versione convenzionale dell’album si chiude con la semi-ballad “When All is Lost”, pregna di soluzioni squisitamente prog da riascoltare più volte per essere ben assimilate come tali, ed un Allen che dà il meglio di sé assieme al chitarrismo irrefrenabile di Romeo. Ma nelle intenzioni della band quest’ultima fatica doveva essere ben più ampia e quindi, andando oltre alle leggi di mercato, è disponibile un doppio cd “deluxe edition”, con tre brani inediti: “Light up the Night”, “The Lords of Chaos” e la lunga “Reign in Madness”. Nel primo caso vengono vagamente in mente i Virgin Steel in salsa prog; nel secondo, invece, i passaggi intricati si fondono ancora con un metal trionfale.
Il lungo brano finale è il degno suggello di un ottimo album che senza dubbio piacerà anche a chi ascolta progressive, in quanto vi troverà diversi punti di contatto (oltre che inevitabili interconnessioni musicali).


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Michele Merenda

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