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STANDARTE Curses and invocation Black Widow 1996 ITA

Attendevo con palpitante trepidazione la seconda mossa discografica dei toscani STANDARTE, dopo il magico effluvio promulgato l'anno scorso in occasione dell'eponimo albo d'esordio. Tale e tanta attesa è stata ampianiente ripagata con la pubblicazione di "Curses and invocation", un'opera che, bisogna confessarlo apertamente, pur nella diversità di approccio compositivo e di risultati estetici, si rivela ampiamente positiva, ricca di sorprendenti soluzioni strumentali, fantasticamente disintossicante al cospetto di notevoli quantità di musica odierna prodotta soltanto per creare attimi di raccoglimento estatico o sensazionalismi di fugace durata.

L'elemento propulsore e catalizzatore del nuovo disco è sicuramente rappresentato dalle onnipresenti tastiere di M. Profeti, il quale sfoggia un impianto di tutto rispetto che combina le sacrali e suggestive volute del Mellotron, le ruggenti e vischiose ondulazioni del Moog e infine i timbri delicati e struggenti dello harpsichord, ovviamente sostenute da tele ritmiche efficaci e precise con il basso pulsante di S. Gabbani e gli essenziali rintocchi di batteria offerti da D. Caputo che si rivela pure un fantastico cantore destando emozione e stupore grazie ad una potenzialità canora che francamente pochi musicisti italiani possono vantare di possedere. Se l'estetica concettuale e creativa della band nostrana si rifa totalmente alle incredibili esperienze della scena anglosassone di oltre 20 anni addietro, un movimento artistico che dai primevi florilegi beat-psichedelici sviluppò successivamente stilemi che dettero vita alle magniloquenti pagine del progressive, il processo non viene incanalato su binali di pura, pedissequa imitazione, anzi, evitando accuratamente manierismi inutili e orpelli fastidiosi, si opera per un approccio dal taglio modernista e soprattutto visceralmente underground al fine di non scadere nelle ampollosità di un verbo sonoro che durante la seconda metà dei '70s aveva annoiato la maggior parte degli ascoltatori. Accantonate per un attimo quelle seppur squisite venature hard-psichedeliche che risultavano evidenti all'ascolto del debutto, gli STANDARTE hanno incentrato la propria scrittura su canoni maggiormente progressivi, rimanendo sempre ancorati alla definizione della forma-canzone, donando un senso di mesta solennità ai singoli episodi della raccolta, formulando una serie di atmosfere più estatiche, arcane e surreali.

Una band sempre più duttile, che possiede una cifra stilistica ben superiore alla media, licenzia un albo destinato ad essere assaporato e meditato nella sua interezza, un lavoro dalla notevole qualità artistica e libero da rigidi schematismi. Un ponte tra passato e futuro che testimonia come anche i gruppi italiani, se sorretti da una massiccia dose culturale, possano coniugare impatto sonico e intelligenza.

 

Alberto Santamaria

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