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SYDERAL OVERDRIVE The trick of life autoprod. 2011 ITA

Sette giovani musicisti italiani uniscono le forze per dar vita al gruppo denominato Syderal Overdrive, che giunge all’esordio discografico con questa autoproduzione indirizzata verso il prog-metal. “The trick of life” è un concept-album che si presenta in maniera abbastanza fastosa, sia per la veste grafica in un elegante digipack dalle tonalità scure, sia per la tematica affrontata, sia per come è strutturata la parte musicale. Per quanto riguarda l’argomento trattato, è la stessa band a spiegare in maniera riassuntiva cosa vuole comunicare e raccontare, dicendoci che si tratta “a tutti gli effetti un "dramma" presentato in un prologo e quattro atti, che narra la storia di un uomo, del suo crollo e del viaggio che lo porta ad attraversare il baratro più oscuro della vita.” Passando all’aspetto musicale notiamo subito come il prologo sia una introduzione di circa tre minuti mezzo, molto raffinata (grazie al delicato guitar-playing e all’approccio pianistico) e un po’ barocca, intitolata “The veil of Maya is ripped” e alla quale fanno seguito quattro lunghe composizioni, la cui durata viaggia dai dieci minuti in su. Ovviamente gli argomenti trattati influiscono anche nelle scelte sonore della band ed è inevitabile intravedere anche sotto questo punto di vista una certa venatura dark e un po’ stralunata. Infatti, l’attacco della seconda traccia “The great trick of life” irrobustisce subito il sound, con chitarre molto dure, ritmi potenti e mostrandosi abbastanza asfissiante. Nel suo sviluppo si notano immediatamente i riferimenti ai “campioni” del prog-metal più classici, a partire dagli inevitabili Dream Theater e dai Queensryche: tempi dispari, sconvolgimenti ritmici, parti strumentali prolungate in cui chitarra e tastiere si intrecciano in esibizioni virtuosistiche, prova vocale che pone l’accento sulla drammaticità dell’opera (anche se in maniera non del tutto convincente), ecc. ecc. Insomma il solito campionario di luoghi comuni molto apprezzato dagli estimatori del genere. Resterà forse l’episodio migliore del lavoro anche se il massimo della grandeur è toccato dal quarto brano intitolato “The green fairy”, diciassette minuti e mezzo di divagazioni dreamtheateriane e qualche spruzzatina di sound anni ’70 che alternano ruvidità metal e maestosità sinfoniche suddivisi in cinque parti. Il disco è molto ambizioso e non manca di spunti interessanti per gli appassionati di prog-metal, ma è altrettanto vero che si nota una forte pretenziosità e che non riesce a sfuggire da tutti i cliché del genere, evidenziando, così, una personalità carente.


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Peppe Di Spirito

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