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SOUNDRISE Timelapse autoprod. 2012 ITA

I triestini Soundrise si formano ufficialmente il 7 giugno 2003, cambiando col passare del tempo tanti componenti e mantenendo costanti solo il cantante Walter Bosello ed il chitarrista Dario Calandra. Dopo alcuni anni passati come cover band, nel 2008 entra in formazione il batterista Massimo Malabotta. Da quel momento, si inizia a comporre materiale proprio. Agli inizi del 2012 si unisce l’esperto tastierista Stefano Alessandrini, che dà il suo apporto strumentale ai brani composti in questo lasso di tempo (da qui il titolo “Timelapse”) dai tre musicisti. Il ruolo del bassista, ancora oggi vacante, viene momentaneamente coperto da Christian Zacchigna, anch’egli assai talentuoso.
Gli undici pezzi racchiusi in questo esordio interamente autoprodotto, la cui grafica è stata curata dallo stesso Bosello (grafico di professione), partono addirittura dal 2004; nonostante la produzione abbia voluto uniformare tutto sotto un unico sound, si sente nettamente la differenza tra le varie canzoni, anche se i ritornelli finiscono per diventare un po’ troppo stereotipati, con dei cori simil-Def Leppard meno effettati. Prog metal o hard rock misto a prog che sia, la musica dei nostrani Soundrise, nonostante le dichiarazioni di parte, sembrerebbe più che altro un heavy rock potente edulcorato da lustrini e cromature varie.
A sottolineare ulteriormente l’importanza del Tempo nell’economia musicale dei nostri, questo elemento si presenta in un modo o nell’altro come il leitmotiv dell’album, in cui le canzoni prendono spunto dalle vicende di vita vissuta da ognuno dei componenti. Fa eccezione “King Time’s dilemma”, che non a caso è realmente la più prog metal del lotto.
Per il resto, abbiamo belle melodie che mettono il buonumore, che pagano pegno anche ad un certo tipo di rock duro radiofonico anni ’80. “Time to make” sembra la più bilanciata, con un bel lavoro di basso e pianoforte, come anche in “More”. Altri bei motivi li troviamo in “The great divide between us” e “Give up”, ricordando magari a Bosello che non per forza bisogna esagerare con l’enfasi, rischiando di apparire smargiassi, invece che particolarmente ispirati. Da questo punto di vista è invece inappuntabile l’approccio vocale su “Leaving”, in cui si toccano sobriamente note di petto notevoli, oppure “To be yours”, che un tempo sarebbe stato il lentone di lusso di una band heavy che si rispetti. I ritmi, ad onor del vero, non sono mai elevatissimi ed anzi predomina il mid-tempo, alternandosi con ritmiche più vivaci che a volte tendono al funk.
Un appunto sotto forma di domanda: ma gli assoli dove stanno? Sì, perché in produzioni come queste le digressioni soliste è lecito aspettarsele, in cui si può ascoltare la creatività estemporanea del musicista di turno. In “Western torture” tutto ciò viene accennato, creando ben altro effetto.
Dopo questo esordio più che discreto, ci si attende adesso un lavoro nuovo di zecca, in cui far fruttare quanto intravisto fino ad oggi, magari mantenendo l’attitudine positiva che sembra contraddistinguere la band. I cervellotici a tutti i costi e coloro i quali colgono emozioni solo in una perenne tristezza… sono avvisati!


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Michele Merenda

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