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SIDHE She is a witch Black Widow 2012 ITA

Subito chitarre ruggenti nell’opener di questo cd, intitolata “The wheel of the year”, che ci introducono una band che punta forte su un hard rock che sembra trarre molto spunto dai primi album dei Black Sabbath, oppure dai loro discepoli Candlemass, Trouble e Death SS. Già questo primo brano, tra riff granitici à la Iommi, ritmi serrati, sonorità dure e atmosfere sinistre e decadenti ci offre tutte le peculiarità dei Sidhe, che si presentano anche con la squillante voce di Tytania ben adattata al contesto con una performance molto positiva. Tutti i musicisti sono indicati con un soprannome e, a completare la line-up, troviamo Vins al basso e ai sintetizzatori, Rob alle chitarre e Miky alla batteria. Prosegue l’ascolto e notiamo come la maggior parte dei brani segua le caratteristiche descritte della traccia d’apertura: “Goddess song”, “She is a witch”, “In the twilight”, “Witchcraft way” e “Superstition” sprigionano una potenza notevolissima, con tutti i crismi che un gruppo dedito al rock pesante deve offrire. Più vicina al doom “L’incantesimo”, con i suoi ritmi lenti, mentre “Il vangelo di Aradia” alterna melodie conturbanti ed esplosioni strumentali. I legami col prog? Ci sono esattamente nello stesso modo con cui c’erano con i primi Sabbath: arrangiamenti ricercati, pezzi ad ampio respiro con cambi di tempo, qualche inserimento di tastiere qua e là che non fa mai male, spunti prolungati strumentali, soluzioni dark non distanti da quanto fatto da Black Widow o High Tide. Una piccola percentuale, insomma, che va ad arricchire un’ossatura di base già interessante. Passando ai testi, invece, notiamo che vengono descritti rituali pagani, incantesimi, sinistre apparizioni di streghe e tematiche di questo tipo, che ancora una volta rievocano l’horror rock sabbathiano con il quale Ozzy Osbourne & Co. fecero scalpore quarant’anni fa, ma che nel caso specifico si riallacciano maggiormente alla fede Wicca seguita da Rob e Tytania già da un bel po’ di tempo. Da segnalare che si alterna il canto in inglese e in italiano. La registrazione (volutamente, come specificato nel booklet) è più bassa rispetto alla media dei prodotti in circolazione e si invita, perciò, ad alzare il volume durante l’ascolto per apprezzare in pieno. Se il risultato da un punto di vista delle dinamiche appare riuscito, mi sembra che però alla base ci sia un’incisione un po’ troppo sporca e che si poteva lavorare un po’ meglio per quanto riguarda il bilanciamento degli strumenti e delle parti vocali, che non sempre è perfetto e che mette maggiormente in luce i toni alti. Un’autoproduzione, quindi, che fa capire che si tratta di un lavoro amatoriale, ma che, oltre a sprigionare un’energia travolgente, può fare la gioia di quella fetta di pubblico ancora oggi dedita all’ascolto dei Black Sabbath d’annata e delle derivazioni gothic che da lì sono nate.



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Peppe Di Spirito

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