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SATURNALIA Magical love Matrix Records 1973 (Black Widow Records 2019) UK

Talvolta ci penso. Penso a quanti dischi degli anni ’70 siano sfuggiti, per un motivo o per un altro, agli appassionati di quel periodo. Spero sempre di trovare qualche disco sconosciuto, che mi faccia rivivere l’epoca dei miei primi ascolti. Rivivere quello stordimento, quel fascino, quell’estasi e quei brividi vissuti nell’ascoltare per la prima volta i grandi capolavori del progressive. So che non è possibile, quindi tento, credo come tutti, di accontentarmi di qualche lavoro rimasto sopito, di cui magari conoscevo l’esistenza, uscito da quell’enorme fucina che fu l’underground musicale inglese, londinese soprattutto, del primo lustro degli anni ‘70 e arrivato, inascoltato, ai giorni nostri.
Come accade spesso per le incisioni underground dell’epoca, ci si va a scontrare tra la storia e la leggenda. Si pensa sempre che la porzione di leggenda sia quella che aiuterà le vendite, ma – in questo caso – sembra essere proprio il contrario. Pare infatti che questo disco, per a causa della scelta dei due leader, il chitarrista Rod Roach e il cantante Adrian Hawkins, di far uscire il disco come primo tentativo della storia di Pictur disc con effetto tridimensionale. Il risultato fu un mezzo fallimento in fase di stampa e vennero fuori anche parecchie incisioni difettose, di fatto invendibili. I vinili fallati rimasero in mano a Roach e donati agli amici, come ricordo. La band seguì il misero destino del disco e si sperse subito dopo. Ma com’era questa band? Oltre ai citati Roach e Hawkins, partiti assieme alla fine degli anni ’60, si inserirono successivamente il bassista Richard Houghton, il batterista Tom Crompton e la seconda cantante Aletta Lohmeyer, giovane e attraente attrice austrica, dalla voce e dallo stile piuttosto affine a Grace Slick. Non della band, ma indispensabile da citare, è il produttore, Keith Relf ex Yeardbirds.
Molti possessori del vinile originale dichiarano, tra l’altro di averlo acquistato sicuramente prima del 1973, data della presunta uscita. Ciò avvalorerebbe la tesi che la stampa fosse del 1969 come alcuni elenchi riportano. Personalmente ho parlato con un londinese che mi ha detto di avere chiara memoria di quel disco nella vetrina del suo negozio di vinili e di aver venduto il negozio, per cambiare attività, nel 1971.
La distinzione, come ben sappiamo noi appassionati, è cosa non da poco: quelli erano anni in cui la musica e l’evoluzione musicale viaggiavano a ritmi pazzeschi e quello stesso periodo di tre, quattro anni è quello che intercorre tra i primi capolavori progressive e il periodo di apice e massimo splendore del genere. La sostanza, insomma, ci porta a domandarci se il disco dei Saturnalia sia stato un perfetto lavoro del proprio tempo, qualora fosse del ’69 oppure un lavoro in ritardo sui tempi, qualora fosse del 1973.
Purtroppo, neppure il ricchissimo booklet allegato al CD della Black Widow chiarisce l’inghippo. Io rimango dell’idea che sia un lavoro del 1973, con un po’ di ritardo nella proposta sonora, ma di fronte alle moltissime certezze di alcuni, qualche dubbio inevitabilmente arriva e, credo, che tanto fomento del dubbio l’abbia fatto l’edizione di Akarma nel 2003, nella quale è stato stampato il 1969 come data originaria, immediatamente fatta propria da siti come Progarchives, per intenderci.
Dissertazioni storiche accantonate, passiamo alla musica.
Si tratta di un disco di graffiante hard blues psichedelico, imparentato, un po’ più da vicino o da lontano con folk e progressive, pescando in modo tutto sommato personale e interessante dal periodo precedente collocato a cavallo tra fine ’60 e inizi anni ’70. L’alternanza alla voce di Aletta e di Hawkins è un altro spunto decisamente interessante nel dare dinamicità e variabilità al lavoro, se devo esprimere un parere personale credo siano più indovinate le parti maschili, trovando quelle femminili, senza ovviamente bocciarle, un po’ ripetitive e meno musicali, in senso largo. Sui nove brani, tutto sommato piuttosto brevi, domina un forte accento psichedelico, ma per la miscela utilizzata, le variazioni strumentali, i chiaro scuri continui, il tutto è avvicinabile anche a forme musicali che spesso vengono dal prog psichedelico delle origini, con sonorità ritrovabili in gruppi come Gravy Train, Atomic Rooster o Arthur Brown, per citarne alcuni e per certi versi anche Renaissance o, in maniera ben più accentuata, Jefferson Airplane. Si stacca un po’ dalla narrazione, inserendo anche temi jazzati e più dilatati, “Winchester Town” e anche come lunghezza, arrivando quasi agli otto minuti, con belle parti vocali e chitarristiche. Molto buona “She brings peace”, sanguigna e dall’arpeggio trascinante. Altrettando si può dire di “Traitor” dagli aspetti quasi zeppeliniani o della breve e dall’avvio più folk “Dreaming”.
Veniamo ai temi trattati, altro aspetto un po’ fuori tempo massimo. Astrologia e riti pagani la fanno da padroni. Addirittura, nel booklet, accanto ai nomi, ci sono i segni zodiacali di ciascuno, come fosse un dato fondamentale per l’ascolto della loro musica. In effetti metodologie decisamente più in voga verso fine anni ’60, sulla scia di quel mito tutto sbagliato della nuova era dell’acquario. Evidentemente la conoscenza dei moti astrali e della precessione degli equinozi non erano dati ritenuti utili, lo spirito di fratellanza e amore (magico in questo caso) prevalevano sulla conoscenza scientifica e forse era giusto così.
Non un capolavoro e come ribadito un tantinello in ritardo sulle tabelle, ma poco importa, un bel piacere di ascolto e, finalmente, almeno per me, una bella e attesa scoperta.



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Roberto Vanali

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