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SATO Pereday dobro po krugu / Pass around the good 1987 Melodiya (Soviet Grail 2019) UZB

Stiamo parlando di una ristampa preziosissima per il valore storico ed artistico di un album unico nel suo genere ed assolutamente introvabile nella sua versione originale edita in una tiratura di soli 3000 pezzi. Il leader Leonid Atabekov (basso) si recò, prima del collasso definitivo dell’Unione Sovietica, negli uffici dell’etichetta di stato Melodiya per comprare i master originali dei due album dei suoi Sato, salvandoli dall’oblio. Questo gesto, che esprime amore e lungimiranza, ha permesso la realizzazione di ristampe di ottima qualità. L’esordio, “Efsane”, di cui ci siamo già occupati con una “relic”, fu pubblicato nel 1986 e ristampato nel 2004 su CD. Nel 2017 la Soviet Grail ne realizzò una riedizione in vinile e la medesima etichetta ci offre ora la ristampa, sempre in vinile e con una tiratura di appena 250 copie, del secondo e purtroppo ultimo album di un gruppo che colpisce per la sua formula elegante ed originale in cui jazz e melodie folk, divenute in questa seconda prova ancora più caratterizzanti, si mescolano in modo stuzzicante. L’Uzbekistan degli anni Settanta era certamente un luogo di repressione da parte del regime sovietico ma allo stesso tempo rappresentava un florido crocevia culturale dove convergevano tradizioni musicali appartenenti a popoli diversi dell’Asia centrale. I Sato, fondati nel 1974, divennero presto un importante riferimento locale, al punto che, a Fergana, venne fondato un jazz club a cui fu dato proprio il nome del gruppo. Proprio qui fu organizzato il primo festival pan-sovietico di Fergana dove i Sato si esibirono con una splendida performance. La grande capacità di combinare le armonie del jazz con i ritmi etnici emerge soprattutto nei brani che prendono origine da motivi tradizionali e che sono rappresentati più precisamente dalla traccia di apertura, “Zuleikha”, e dalla lunga title track. “Zuhleika” ci avvolge con le sue fragranze speziate che scorrono lungo una base ritmica lineare e scorrevole. Graziosi sono gli elementi chitarristici a cura di Enver Izmailov, chitarrista di alto livello, noto per aver ideato in maniera autonoma una tecnica di tapping. Alle sonorità soft fusion si innestano colorate nuance folk e degne di nota sono anche le colorazioni tastieristiche intessute da Riza Bekirov con i suoi synth Yamaha DX-7 e Korg. “Pereday dobro po krugu” appare ancora più interessante per le numerose trasformazioni che caratterizzano il suo piacevole decorso. In apertura corde pizzicate ed arpeggiate riecheggiano nel silenzio creando una dimensione minimalista di attesa che prelude ad una fase soft jazz sinuosa in cui il sax soprano di Narket Ramazanov sembra quasi ondeggiare. Il ritmo è ora quello di un valzer in cui le fragranze si diluiscono in sfumature tenui. I ritmi si fanno poi più serrati e cresce anche la complessità di un tessuto sonoro cangiante a cui si aggiunge lo speciale tocco di Izmailov con i suoi brillanti assoli. Le percussioni tradizionali, elaborate da David Matatov, dipingono adesso un paesaggio rurale che si espande sconfinato verso l’orizzonte lontano. A questa sensazione di desolazione si sostituiscono inaspettatamente ritmi scherzosi e circensi con aperture sinfoniche e quasi Canterburyane, illuminate dal soffice piano Fender. Questo brano incarna un sincretismo sonoro unico, spettacolare per le sue forme particolari e per le sue atmosfere insolite. Il lato A è completato da due pezzi di durata più contenuta: “Elegiya”, brano ovattato che rievoca sapori d’oriente e sensazioni ancestrali e la conclusiva “Polyot Shmelya” e cioè “Il volo del calabrone”, una rielaborazione della celeberrima composizione di Nikolai Rimsky-Korsakov. Da segnalare ancora la graziosa “Yaylya boyu”, posta in apertura del lato B, brano leggero e dalle fragranze inconsuete, col flauto e la chitarra che disegnano a pennellate rapide melodie tradizionali dai contorni morbidi, mentre “Buket Dlya Larisy” scorre lenta secondo moduli più canonici. Il brano conclusivo, una particolarissima cover di “Take Five” di Paul Desmond (divenuta in russo “Pyat' chetvertey”), svela ancora una volta tutta l’originalità dei Sato che trasformano in base al loro stile unico ed originale un brano celeberrimo che non immaginavo potesse essere declinato in questo modo. Al termine di questa rapida disamina non posso che suggerirvi l’ascolto di un’opera singolare ed affascinante, tornata alla luce grazie ad una curata ristampa che vi farà viaggiare verso mete insolite sorprendendovi, non poco.



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Jessica Attene

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