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SCALADEI The swing of things Normen Records 2020 SPA

Ho avuto un sussulto quando, dopo aver avviato l’album d’esordio di questa nuova band spagnola, parte la voce del cantante: oltre al fatto che la musica che mi arriva alle orecchie è registrata in modo pessimo, confusionaria e quasi ovattata… non è niente a confronto proprio con il cantato, quasi al limite di ogni decenza. Forse proprio perché si tratta di un gruppo spagnolo, mi torna d’impulso alla mente un gruppo, spagnolo anch’esso, che realizzò un unico album, addirittura 30 anni prima: gli Harnakis. L’incipit della recensione che scrissi di quell’album, intitolato “Numb Eyes, the Soul Revelation”, fu il seguente: “Se esistesse l'Oscar per il peggior cantante, l'edizione 1990 sarebbe già appannaggio di uno dei due di cui dispone il gruppo spagnolo Harnakis”. Con cautela e un piccolo brivido vado a cercarmi i dati di quel gruppo. Una gocciolina di sudore freddo cola dalla fronte mentre mi rendo conto dell’orribile realtà: Scaladei è un duo formato proprio da due ex membri degli Harnakis! Ma la cosa particolare è il fatto che colui che negli Harnakis ci infliggeva la sua terrificante ugola, Santi Calero, in quest’album si limita a suonare la chitarra (elettrica ed acustica), mentre la voce che ci tortura in questa nuova release è quella di Enric Pascual, batterista e adesso anche tastierista.
Cambia l’ordine dei cantanti, dunque, ma il risultato è sempre deleterio… anzi… quanto meno il disco a nome Harnakis aveva momenti musicali gradevoli ed un secondo cantante che almeno aveva cognizione di causa. L’album qui presentato talvolta sembra non avere né capo né coda e occorre un notevole sforzo per seguire mentalmente le fila delle trame musicali di queste 7 tracce che sembrano susseguirsi senza filo logico… complice anche, come dicevo all’inizio, una registrazione decisamente insufficiente che rende la vita difficile all’ascoltatore.
Molti demo-tapes amatoriali degli anni ’80 erano decisamente più godibili e meglio realizzati, mentre qui non saprei da che parte cominciare, sinceramente. I 18 minuti dell’epico brano iniziale “Tower 9” sono un susseguirsi di momenti confusionari, forzature vocali, tappeti di Mellotron messi a caso ed atmosfere che vorrebbero essere epiche ma che ottengono l’effetto opposto. I successivi brani, benché più brevi, non ottengono effetto migliore. Il gruppo comunque sembra cavarsela meglio nei momenti strumentali (ovviamente) e meno orchestrati, quando un limitato numero di strumenti riesce a tenere basso il livello di caos.
Un album decisamente scarso, purtroppo. Sono stato troppo cattivo? Forse sì, ma non si può, nel 2020, ascoltare dischi così.



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Alberto Nucci

Collegamenti ad altre recensioni

HARNAKIS Numb eyes, the soul revelation 1990 

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