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TAÏ PHONG Taï phong Warner Bros. 1975 FRA

All'interno di quella che fu la scena progressiva francese degli anni Settanta è utile e necessario il saper distinguere tra gli esponenti della tipica scuola transalpina, tutti accomunati dall'uso rigoroso della lingua madre, dalla ricerca di un suono sufficientemente personale e, non ultimo, dal recupero di certa tradizione popolare, quali in primis Ange, Atoll, Mona Lisa, Pentacle ed altri, e quelle bands che, trovando le loro principali fonti d'ispirazione al di fuori dei patrii confini (sovente al di là della Manica), erano in toto o quasi devote ai loro modelli stranieri. A titolo di esempio possiamo citare nomi quali Melody (misconosciuta band capitanata dalla brava cantante Diana Chase ed influenzata parimenti da Genesis e PFM; due Lp all'attivo con particolare menzione per "Yesterlife"), La Rossa (il loro "A fury of glass" del 1983, dalla vena intimista e vandergraffiana, è stato recentemente ristampato su CD da Musea), Nightrider (bellissimo l'hard-rock melodico con abbondanti venature prog che fuoriesce dai solchi del loro unico Lp omonimo, anch'esso riesumato su CD dalla tentacolare etichetta francese), Open Air (gruppo di prog melodico, un solo album all'attivo influenzato da Genesis e Machiavel) ed appunto TAI PHONG, un ensemble condotto dal cantante e chitarrista Jean-Jacques Goldman - più tardi protagonista di una fortunata camera solista in qualità di pop singer -autore di una manciata di albums collocabili temporalmente nella seconda metà degli anni Settanta. Caratterizzato dalla presenza in formazione di ben due musicisti asiatici (Khanh, chitarra e voce e Taï, bass, moog e voce) il quintetto emulo di Yes e Barclay James Harvest si distingue per una buonissima rielaborazione di tali modelli egemoni, la quale in questo disco d'esordio raggiunge vette di intensità emotiva particolarmente significative: come si può infatti rimanere impassibili di fronte all'ascolto della bella opener "Goin' away", con i suoi accattivanti cori alla Yes, la voce in falsetto di Goldman la cui estensione sembra non conoscere limiti, ed infine un reiterato guitar-solo strappalacrime? La drammatica teatralità di un episodio del calibro di "Sister Jane", il dinamismo sonoro della breve "Crest", superbamente pilotata da un robusto basso elettrico suonato con il plettro, e gli otto minuti di "For years and years (Cathy)", le cui romantiche evoluzioni pianistiche non possono non evocare il ricordo dei migliori B.J.H., sono gli altri tasselli che contribuiscono alla buona riuscita della prima facciata, e, credetemi, ci sarebbe già di che ritenersi soddisfatti. La side B è però il vero piatto forte del nostro disco: infatti sia "Fields of gold" (7:37), sia "Out in the night" (11:25) non fanno che confermare l'evidente predisposizione dei TAI PHONG alla creazione di climi ed atmosfere pervase da grande tensione emotiva e teatrale drammaticità (pur non risultando assolutamente dark, così come qualcuno potrebbe erroneamente immaginare), doti queste che potrebbero paradossalmente favorire un parallelo con i maestri francesi del cosiddetto "Rock theatre" (Ange naturalmente!), apparentemente così lontani ma cosi vicini all'espressività tipica dei PHONG. La suite "Out in the night", con il profondo e solenne organo di Jean Alain Gardet, l'accorata interpretazione vocale del sempre più convincente Goldman, ed il solito, magistrale assolo di Khanh, risulta così essere il punto focale di un lavoro che nessuno - e tantomeno i progressivi francofili - può permettersi di scartare a priori.

 

Massimo Costa

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