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TOM MOTO Junk Lizard 2009 ITA

Desidero che sia subito chiaro che indipendentemente da ciò che potrò scrivere, i Tom Moto vinceranno. Vinceranno un loro spazio, un loro pubblico e ogni copia del disco che venderanno sarà frutto e merito del loro sudore. E di sudore, fatica e rabbia devono averne prodotte in quantità, quindi ritengo sia più che corretto che possano, da ciò, trarre anche soddisfazioni e gioia. Perché questo? Ma perché la scelta musicale dei Tom Moto è oltremodo improbabile: basso, batteria e tromba, che rotolano in maniera trasversale tra jazz, punk e funk (da qui il titolo del disco) con episodi apparentemente molto free, ma che invece risultano ben composti e realizzati, con schemi molto chiari e precisi, spesso non distanti dalle masturbazioni del math rock. La storia è quella della nota sbagliata e messa appositamente al posto giusto, insomma.
Due gruppi che mi vengono in mente, magari non totalmente per le assonanze, ma per stili compositi similari sono i nipponici Cherno o gli americani Upsilon Acrux, due gruppi che – probabilmente – i pisani in questione non sanno neppure se esistano. Ma è giusto così, nel senso che questo non fa che accrescere il rispetto che si deve a una band che voglia, in maniera anomala, ma consapevole, gettarsi in un filone dove, forse non si acchiappa troppa notorietà, ma nel quale si possa mettere in mostra per le qualità.
Insomma i temi sono questi e, riassumendoli, si può parlare di una spesso estenuante battaglia ritmica, sulla quale spicca una tromba, unico elemento melodico che, seppur in grado di sfornare temi accessibili, non sempre lo fa, anzi, i momenti realmente melodici sono ridotti a pochissimi secondi qui e là. Per fare tutto ciò e potersi permette svariati passi di soli basso e batteria ci vuole, ovviamente, una grande preparazione tecnica e di questo se ne dà ampio atto alla band. Forse per puro divertissment, forse per dare un senso concettuale al lavoro la band inserisce tre tracce dove la narrazione vocale si unisce a sommessi accompagnamenti: testi tratti da “Post Office” di Charles Bukowski, (e qui bisogna ricordare che Tom Moto è proprio un personaggio di questo romanzo), lette da Alex Zobel, artista pisano morto in un incidente e che, alla memoria, si conquista la dedica dell’intero lavoro.
Il lavoro è composto da undici tracce piuttosto concentrate e una finale dodicesima di circa dodici minuti (che contiene però quattro minuti di silenzio), questo comporta un disco abbastanza lungo, che per le proprie forme strutturali e per la carenza di elementi melodici, potrebbe risultare pesante. In effetti direi che questo rischio c’è e i temi risultano, in effetti, ripetitivi. Un quadro molto complesso, ma fatto solo di pochi colori, pur presentati nelle varie sfumature, completato esclusivamente grazie alle capacità tecniche del trio, del quale voglio ancora sottolineare la bravura.
Non mi sento di citare un brano piuttosto che un altro: il disco ha una sua omogeneità totale, con momenti variabili all’interno del singolo brano.
Ah ecco, forse qualcuno si chiederà se si debba considerarlo un disco di prog. Risposta: (non data da me ma direttamente dal myspace della band) sì, ma solo per un 15%. Se è poco non prendetevela con me. Se volete amare questa band per il restante 85%, credo se lo possa meritare.


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Roberto Vanali

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