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I TRENI ALL'ALBA Folk destroyers Smartz Records 2008 ITA

Quartetto valdostano-piemontese nato come progetto musicale nel 2003, fin dalle sue origini si pone l’obiettivo della “contaminazione” tra generi. Un’esperienza che va man mano crescendo, con la precisa intenzione di creare delle composizioni che assumano un sapore “cinematico”, cioè carico di sfumature e riferimenti a colonne sonore e a ritmi capaci di rimandare ad episodi cinematografici. Le due chitarre acustiche di Daniele Pierini e Paolo Carlotto, il pianoforte di Sabino Pace e la batteria di Felice Sciscioli iniziano così a fondere sonorità mediterranee molto vicine al versante iberico, soluzioni popolari e rimandi al prog anni ’70, avendo come punto di riferimento sempre l’esecuzione spontanea e viscerale. Le esperienze punk ed hard-core di alcuni di loro, infatti, contribuiscono a dare un’inaspettata energia ai brani, rendendoli avvincenti dall’inizio alla fine.
Nel frattempo alcuni pezzi vengono eseguiti anche con le chitarre elettriche, a volte entrano in gioco pure l’organo ed i synth, collaborazioni anche con altri musicisti e dopo diversi concerti ecco nascere “Folk destroyers” a cavallo fra il 2007 ed il 2008. I pezzi, tutti strumentali, si identificano perfettamente nella copertina di Domenico Sorrenti, in cui viene rappresentata quella che potrebbe essere una Venezia colorata e deformata come se fosse dipinta da un Van Gogh che ha alzato il gomito più del solito, ma che allo stesso tempo appare vissuta, con quelle strade sicuramente strette che hanno visto passare e scorrere tutto il mondo. Lo stesso Sorrenti nel booklet raffigura un uomo che sembra uscire dalla città e vagare solitario tra diverse esperienze, per poi (forse) far ritorno a casa.
In quest’ottica, la musica dei Treni sembra veramente appartenere ad una cinematografia surreale, dove addirittura i brani prendono nome dal rispettivo minutaggio. Ogni pezzo ha degli ospiti che contribuiscono a creare una grande coralità, come ad esempio il contrabbassista Federico Lisfera su quasi tutte le tracce. Già “2:09” con i suoi ritmi latini mette in chiaro un principio fondamentale: esattamente come il gioco corale di alcune squadre di calcio moderne, in cui non è possibile per lo spettatore seguire contemporaneamente la trama del gioco ed i movimenti senza palla dei giocatori, allo stesso modo con I Treni all’Alba o si segue il suono nel suo insieme oppure il complesso lavoro del singolo strumento. Molto difficile fare entrambe le cose, almeno all’inizio. Il loro segreto pare essere proprio questo lavoro d’insieme, questa coesione sonora compatta e contemporaneamente fluida.
E quando nella seguente “4:37” entrano ad un certo punto il sax di Alberto Ventrella e nel finale la tromba di Giotto Napolitano, si ha la sensazione di essere vicini al capolavoro. Forse solo i Samla Mammas Manna potrebbero essere accostati a loro, anche se l’allegra follia degli svedesi è sostituita da una sfrontatezza che fortifica se stessa con una ferrea disciplina. C’è malinconia ed anche qualcos’altro di difficile definizione in questa musica, che di sicuro deve parecchio anche ad un certo tipo di jazz tipicamente italiano.
Tutti i pezzi sono sul medesimo livello, ma vanno menzionate “4:29”, con le parole recitate da Davide Capostagno tratte da “Essi vivono” di John Carpenter e gli azzeccati interventi del flautista Romeo Sandri, “5:21”, che sfocia in un finale cinematograficamente complesso accompagnato dai fiati e dalle chitarre elettriche, e “6:04”, che in determinati punti porta alla mente le parti più intense dei primi album del Banco del Mutuo Soccorso (soprattutto “Darwin”), con Felice Sciscioli capace di modificare in modo molto naturale l’andamento del ritmo come facevano, ad esempio, i Nektar nel loro “Live in New York”. L’album si conclude con una ghost-track, dalla durata di “1:15”. Scegliete un po’ voi il titolo…
Come è scritto nelle note di copertina, liberamente ispirate a “Bar sport 2000” di Stefano Benni: «Può essere interessante venire in una stazione per cercarla… la speranza. Vedere gente che parte e che torna può mettere allegria». E ancora: «Ricominciare sempre. Noi saremo lì, spettatori e attori, nel bar di una stazione».


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Michele Merenda

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