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TRI YANN La belle enchantée Marzelle 2016 FRA

Quarantasei anni di vita musicale e non sentirli, scanditi dalla pubblicazione di ben ventidue album (compreso quest'ultimo), quattordici dei quali in studio. I Tri Yann, per chi, colpevolmente aggiungerei io, non li conosce, sono una istituzione del prog folk francese ed in particolare di quello Bretone. Forse sono anche qualcosa di più, a ben vedere, perché con la loro musica non fanno altro che tramandare alle nuove generazioni i valori di una cultura, quella bretone, che altrimenti rischierebbe di sparire, contribuendo a mantenere viva l'identità di un intero popolo. Come a rimarcare questo importante ruolo il loro sguardo si volge nuovamente al passato della loro terra che riscoprono attraverso racconti di vecchie storie e leggende, mescolando suoni antichi e moderni, con uno stile ormai divenuto inconfondibile che ricorda in particolar modo quello di uno dei loro album più belli, “Portraits”, risalente ormai al 1995.
Le sonorità sono prevalentemente acustiche e come al solito spiccano le meravigliose polifonie imbastite dalle voci dei tre storici solisti, i tre Giovanni appunto, Jean-Louis Jossic, Jean-Paul Corbineau e Jean Chocun. Al loro fianco riscopriamo i compagni di viaggio che da lunghissimo tempo ormai li affiancano e cioè Jean-Luc Chevalier (chitarra acustica ed elettrica e basso), Gérard Goron (chitarra, mandoloncello, batteria e percussioni), Konan Mevel (low e high whistle, cornamusa scozzese), Frédéric Bourgeois (tastiere ed organo) e Christophe Peloil (violino e basso).
L'incipit a dire il vero non è fra i miei preferiti: “Far Away from Skye” ha dei connotati fortemente radiofonici, uno stile forzatamente moderno da primi anni Novanta con una base ritmica stereotipata e ritornelli dalle rime a dir poco banali. Ho davvero temuto il peggio ma per fortuna la ballad “L'ankou, la libertine et le ménétrier”, con la voce inconfondibile e sognante di Jean-Paul, giunge come a risvegliarci da un terribile incubo. I suoni sono quelli acustici della chitarra e del violino, con qualche piccolo innesto elettrico nei momenti più intensi, le melodie ci cullano dolcemente con arie dal sapore celtico che incarnano la profonda calma dell'oceano, il verde rubino dei prati e l'azzurro intenso del cielo. Con “Le six couleurs du monde” vengono invece recuperati ritmi e suoni antichi, scanditi da tamburi e ricchi intrecci acustici dal sapore barocco. Il canto in duo vede alternarsi le voci di Jean-Louis e Jean-Paul in un dialogo sui meravigliosi colori del mondo. Il brano successivo è qualcosa di davvero singolare: “Sant Efflamm hag ar roue arzur” è una sorta di inno liturgico dominato da cori solenni in cui emerge anche la voce di Clarisse Lavanant, una dei tanti ospiti reclutati per questo album. Si tratta della rivisitazione di un motivo contenuto nel Barzaz Breiz, raccolta di canti popolari provenienti dalla tradizione orale, pubblicati nel 1893, che rappresentano nel loro complesso una sorta di Kalevala bretone. Le liriche, ovviamente in bretone, ci presentano re Artù alle prese con un drago e sono impreziosite dalla musica che incede maestosa. Notevole è l'intervento della Bagad di Saint Nazaire, tipica orchestra bretone composta da cornamuse, bombarde e batteria scozzese. Una versione dello stesso brano, cantata però in francese, la troviamo in fondo a questo CD come bonus.
Non colloco fra gli episodi migliori la successiva “La Bonne fam au courti”, una danza dei paesi Gallo, scandita da voci ritmiche ma con sgradevoli interferenze elettroniche che ci riporta ai primi anni Ottanta. Lo stesso effetto lo sortirà poche tracce più avanti “Le bal des morts vivants”, una hanter dro modernizzata da sonorità elettriche e ritmate che sembra anch'essa un retaggio di album come “Café du bon coin” o “Belle et rebelle”. Stessa cosa dicasi più o meno per “Gavotten an hunvreoùigoù” che comunque presenta un risultato finale decisamente più piacevole. Moderna ma forse unica nel repertorio dei Tri Yann appare “The Velvet Otter”, uno strumentale dal sapore New Age con piacevoli venature folk disegnate dal low whistle e dall'arpa celtica di Amandine Alcon con qualche linea di batteria elettronica. Inutile dire che i brani acustici sono quelli più suggestivi ed eleganti e troviamo fra questi “Aliénor en Arrabie”, che ci porta ai tempi della seconda crociata seguendo il morbido ritmo dei tamburi con intrecci musicali dal fascino antico, “La bayadére et le roi”, basata su una novella di Alphonse Allais, grande maestro dell'umorismo nero che tratteggia un sovrano distrutto dalla noia, e la title track, splendida ballad basata su un riadattamento di un racconto inuit e impreziosita da cori di cornamuse in solenne crescendo. Rappresenta un ottimo compromesso stilistico “L'ermite et le connétable”, dedicata a Sant'Anna, patrona delle popolazioni bretoni, in prevalenza acustica ma irrobustita da elementi elettrici strategici.
Forse indirizzarsi verso un'opera integralmente acustica ci avrebbe consegnato un disco di qualità complessivamente superiore ma mi sento comunque di dire che i Tri Yann vincono la sfida del tempo, chi li ama non verrà deluso e potrà prepararsi per il cinquantennale che il gruppo affronterà sicuramente con energia, vitalità, tantissime idee e soprattutto voglia di suonare dal vivo.



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Jessica Attene

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