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HAN UIL Dark in light autoprod. 2010 NL

Sicuramente non conosciutissimo alle nostre latitudini se non, forse, da qualche prog-fan incallito, Han Uil, artista olandese, ha una discreta carriera alle spalle, dapprima come front-man degli Antares e più recentemente di un’altra band olandese i “Seven day hunt”. “Dark in light“ è il suo secondo album solista, dopo l’esordio omonimo del 2006. Numerosi gli ospiti del progetto provenienti soprattutto dai già citati “Seven day hunt”: Aldo Adema (chitarra in alcuni brani), Jaap Moulder alle tastiere (già entrambi membri dei più conosciuti Egdon Heath), Eric Healing al sax e, ancora, Carola Magermans alla voce, oltre ad Han (voce,chitarra e programmazione).
Il brano che apre l’album è molto promettente. “War of thoughts” è uno strumentale molto sinfonico, con chitarra e tastiere (programmate) in netta evidenza a ricordare qualche episodio degli Eloy (periodo “Time to turn”). Le manifeste influenze heavy-rock di Han fanno la loro comparsa in “Aquila Island” con riff corposi ed un refrain orecchiabile e radiofonico.
Ritmiche funky per la non riuscitissima “The same old endless story” che comunque evidenzia il variegato background dell’artista olandese.
Di tutt’altra caratura “A song for the soldier”: intimistica e malinconica, con un sax per nulla invadente ed un bel guitar-solo molto floydiano (come del resto i backing-vocals di Carola Magermans).
Malgrado l’inizio un po’ in sordina, non male la title-track “Dark in light” con la voce un po’ ammiccante di Uil e spruzzate di canonico new prog.
Altro brano ben fatto è “Memento”. Anche qui riff heavy, tastiere “pesanti” e la gradevole e versatile voce di Han.
“ I love you still” è una ballata blues, mentre facilmente dimenticabile è la ripetitiva e dance “Getting up”.
“The great descent” prosegue sulla falsa riga dei brani più hard-oriented.
Piacevole, infine, il “falso” strumentale” “Love can be found” con notevoli digressioni di chitarra elettrica e tastiere, un po’ il trade mark del lavoro.
Album che nel complesso si fa apprezzare e, pur non facendo gridare al capolavoro, ha una sua ben precisa fisionomia musicale. Peccato, al solito, che l’assenza di una sezione ritmica “vera” e le tastiere troppo “artificiose” alla lunga possano risultare stancanti e lasciare un senso di incompiuto all’intero lavoro.


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Valentino Butti

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