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ÜNDER LINDEN Espacios intermedios Viajero Inmovil 2013 ARG

Quando inevitabilmente il tempo a noi concesso giungerà al termine allora la nostra anima si troverà a vagare per i gelidi spazi intermedi. Come siano fatti questi spazi gli Ünder Linden provano a raccontarcelo con nove visioni strumentali realizzate nel corso degli anni che separano questo secondo album dall’esordio eponimo del 2007. In aiuto alla musica giunge anche la colorata copertina che rappresenta il particolare di un dipinto a olio nel quale la band si è imbattuta fortuitamente girando per una delle vie della propria città, La Plata, e che sembra aver tradotto in immagine le sue idee. Colori freddi e geometrie astratte dalle linee sinuose in cui la musica sembra effettivamente rispecchiarsi, anche se la proposta degli Ünder Linden dà l’impressione di essere ben più solida e robusta. Una parte del merito è sicuramente delle chitarre, veramente ben articolate fra riff e parti soliste, nonostante che il gruppo abbia sofferto l’alternarsi di diversi musicisti a ricoprire questo ruolo in un breve lasso di tempo. Ad Ignacio Scarsella è succeduto prima Juan Gonzalez e poi Juan Cortes, che è segnalato nella line-up dell’album, ed infine ecco in pianta stabile Jati Signorio che già nel 2010 offriva la sua opera di collaborazione. Ogni chitarrista ha contribuito alla maturazione di un sound che si dimostra decisamente eclettico come si può apprezzare scorrendo le canzoni di questo album assolutamente non uniforme. Inoltre c’è da segnalare l’inserimento di un secondo tastierista, Ezequiel Flores, che affianca Gabriela Gonzalez, fattore non di secondaria importanza nella definizione di uno stile che è divenuto forse più maturo e duttile.
L’apporto di questi strumenti non è improntato al virtuosismo, sebbene non manchino begli assoli, quanto al disegno accurato della fisionomia delle canzoni che sono in continua variazione e in cui è cruciale la ricerca della giusta atmosfera e di una propria identità. La traccia di apertura “Nan madol” è costruita a spigoli vivi e si inerpica in viottoli strumentali scoscesi che sembrano intagliati nella pietra. E’ molto spigolosa, forse per le chitarre elettriche in primo piano che risaltano in modo preponderante sulle tastiere, sul pianoforte e sull’elegante violino. Il brano gira come una ruota poco oliata ma le linee melodiche sono comunque poetiche, hanno un respiro quasi cameliano, con lunghi e delicati assoli al di sotto dei quali la parte ritmica si regolarizza. E’ però solo l’inizio e ad ogni brano si apre sempre una pagina nuova. “Quarks” fa emergere la magia notturna del violino, le atmosfere divengono più rarefatte e questa volta mi vengono in mente assonanze con i giapponesi Asturias. Ma i momenti più interessanti sono secondo me quelli in cui le tinte si affievoliscono, come in “Regards from the Garlic Sea”, con i suoni del violino, del pianoforte e gli arpeggi acustici che danno risalto alla struttura melodica, nella sua immagine più essenziale e penetrante. Altro momento da ricordare è sicuramente “Intertango”, che prende spunto appunto dalla tradizione argentina del tango per poi aprirsi lungo altri numerosi corridoi con intersecazioni che in parte ricordano le intuizioni brillanti di Rodolfo Mederos. Il tango è qui solo un appiglio per altre situazioni musicali in cui gli strumenti interagiscono in modo fluido e dinamico alternando movimenti aerei a passi di ispirazione soft fusion. L’insieme degli ingredienti è qui molto equilibrato, gli strumenti interagiscono al meglio e forse il gruppo sfoggia la migliore delle sue vesti.
Nel colorato campionario di pezzi presentati occupa un ruolo particolare “Disco Prog” in cui si riconosce chiaramente un ritmo da disco-music inondato successivamente da soluzioni strumentali decisamente più progressive. Una lieve impronta psichedelica viene invece lasciata nella conclusiva “Un dia en la luna”, brano che lascia spazio anche ad ambientazioni romantiche. Pensando all’album nella sua interezza, come accennato, sono le parti di chitarra quelle migliori, con assoli disegnati con gusto che catturano la scena mentre gli altri componenti quasi si ritirano negli spazi lasciati vuoti.
Un po’ carente invece è la scelta dei registri di tastiere, spesso spenti ed artificiali, tanto che, quando viene preferito il pianoforte, il suo suono limpido risalta in modo brillante. In generale l’album non ha il dono della fluidità, e non mi riferisco al fatto che le canzoni siano così diverse fra loro, quanto alla mancanza di dinamicità sia nelle interazioni strumentali che nell’avvicendarsi dei vari temi musicali. La qualità dei pezzi non è la stessa ovunque e talvolta la musica è carente in emotività, fattore invece che, soprattutto negli album interamente strumentali, sarebbe bene esaltare anche in modo vistoso. Ne consegue che, nonostante l’evidente evoluzione del gruppo, l’album in esame risulta meno appetibile rispetto all’esordio che dava forse un’impressione più verace e coinvolgente. Sappiamo che il gruppo non ha avuto vita facile, visti i continui rimescolamenti e penso in definitiva che questa pur buona prova possa rappresentare un passaggio verso forme più mature. Come postilla segnalo la presenza sul CD di un’interessante bonus-track, “14/8 de musica”, registrata dal vivo nel 2011 all’università di Tucumán.


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Jessica Attene

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ÜNDER LINDEN Ünder linden 2007 

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