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UPHILL WORK Dribs / Drabs Soyuz Music 2010 RUS

Il secondo lavoro della band moscovita guidata da Lev Gankine non vede cambi di formazione né variazioni stilistiche rispetto all’esordio di due anni prima. Siamo ancora alle prese con un Prog essenzialmente basato sul dualismo cantato/piano, con la voce di Lev (che appunto è anche il tastierista) che si mantiene lontana da ogni tentazione melodica, ed infuria con ritmiche implacabili, sempre su tonalità che oscillano tra un RIO stralunato alla Samla Mammas Manna o Gong e tematiche più indie e anche garage rock, quanto meno come approccio, sempre con uno spirito goliardico che pervade tutta la loro musica. La registrazione è fatta live in studio e se da una parte i suoni non sono molto brillanti, c’è da dire che la musica è senza dubbio dinamica e il gruppo dimostra buona forma e affiatamento.
I primi brani dell’album imperversano nelle nostre orecchie con ritmiche concitate e mozzafiato; tra di esse registriamo le belle parti di chitarra presenti su “Voices from the past”. La quiete arriva col brano successivo, “A feeling of Spring”, anche se, complice la non certo chiara voce di Lev, si tratta di una quiete… inquietante, con ancora un bell’assolo di chitarra (Konstantin Benyumov sembra essersi fatto più attivo in quest’album) che rendono il brano ben costruito e abbastanza gradevole. Personalmente mi piacerebbe sorvolare sulla breve ed indiavolata, quasi punk, “Not your usual this and that”, e sulla successiva “Victims of jet lag”, meno brave ma non meno frenetica. Anche i brani successivi presentano sonorità che ci portano più decisamente sulla scena alternative russa (Zvuki Mu su tutti… e per quanto personalmente conosco): “Why can’t Max just relax” presenta comunque impasti sonori interessanti, mentre “Fun (As in funeral)” è decisamente accostabile alle prestazioni bizzarre dei Samla Mammas Manna.
“Falderal express” è un breve e giocoso pezzo che prelude al brano di chiusura, il più lungo del lotto, “Incomprehensible”, che ha un andamento martellante e lineare, quasi monotono, che mette in risalto particolarmente il cantato ed i testi (che sono ancora in inglese).
Questo secondo album, pur mantenendo tutte le caratteristiche generali che il gruppo ci aveva fatto ascoltare con l’esordio, mi pare sia un mezzo punto inferiore a quello; sicuramente meno eclettico, anche meno Prog, volendo, e dall’approccio più diretto. Il gruppo accresce il proprio livello di affiatamento, con importanti contributi degli altri musicisti, ma è innegabile che le sorti degli Uphill Work si regge ancora in gran parte sulle spalle di Lev Gankine.



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Alberto Nucci

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