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UMÆ Lost in the view autoprod. 2019 CAN/ISL

Durante una crociera possono succedere tante cose… e la celeberrima Cruise To The Edge è una crociera davvero special! Può succedere che un musicista canadese che è lì per suonare in una band tributo ai Dream Theater incontri un musicista islandese e che i due decidano prima di scambiarsi file musicali per dar vita ad un nuovo progetto e poi di rivedersi in Islanda per cominciare a fare le cose sul serio. Da cosa nasce cosa, come spesso succede, e ai due (che rispondono ai nomi di Anthony Cliplef -chitarra e voce- e Guðjón Sveinsson -chitarra, basso e voce-) si aggrega successivamente il batterista (anch’egli canadese) Samy-George Salib e, una volta che l’album comincia a prendere forma, un numero impressionante di ospiti. Tra questi spiccano i nomi di John Wesley, Conner Green (degli Haken), Eric Gillette, Magnús Jóhann Ragnarsson (dei Vintage Caravan) e Adam Holzman ma è anche presente un vasto ensemble orchestrale di musicisti islandesi. Il none scelto per questo progetto… non significa nulla ma, a detta dei musicisti, ha un bel suono…
Ciò che è scaturito da tutta questa fase preparatoria è un album di un’ora di lunghezza, suddivisa in 12 brani che evidenziano solo in parte le influenze primarie dei due fondatori (Dream Theater e Porcupine Tree / Steven Wilson). C’è ben poco di Progressive Metal, a dire il vero, mentre le atmosfere wilsoniane, melodiche, malinconiche e delicatamente psichedeliche, sono decisamente più diffuse. Il tema portante dell’album è in effetti la nostalgia del passato e la ricerca di un nuovo inizio per sfuggire alle memorie ingombranti. Le prime 3 tracce (dopo il breve intro) hanno un forte sapore Porcupine Tree, con ritmiche piuttosto rockeggianti ed energiche, con le voci di Wesley e di Hulda Kristín Kolbrúnardóttir (cantante della pop band islandese Kiriyama Family) che si alternano e si intrecciano. Si tratta di un sound decisamente moderno, quindi, poco incline alla nostalgia (quella musicale), che colpisce per gli accattivanti riff e le atmosfere brillanti, ma che comunque non impressiona più di tanto.
Sulla terza di queste tracce fa tuttavia la sua prima comparsa una delicata arpa che prelude ad un finale orchestrale del brano e soprattutto alla splendida traccia successiva, la lunga (10 minuti e mezzo) “By Myself”, deliziosamente caratterizzata da atmosfere intimistiche.
Le ritmiche rockeggianti tornano con la successiva “Running Away”, brano diretto e scaccianuvole, con un bel basso in evidenza, primo di una serie di brani abbastanza brevi in cui si alternano, anche all’interno del brano stesso, sonorità moderne e rock (anche piuttosto distorte, come nella frenetica “Losing Grip_mfit”) con divagazioni acustiche, folk ed orchestrali.
Giungiamo quindi in dirittura d’arrivo di quest’album; il bel finale strumentale e sinfonico di “Drift”, con un lungo assolo di sax, prelude alla conclusiva “Let Go”, brano il cui avvio è costruito sull’accoppiata chitarra acustica / flauto, per proseguire su umori ottimistici e positivi e un bell’assolo finale di chitarra.
Un album interessante, ben realizzato, altalenante e ricco di saliscendi umorali e vario in quanto a sonorità. Giudizio positivo se si pensa anche a come è nato il progetto, anche se mancano momenti memorabili che si possano affiancare alla bella “My Myself”; benché gradevole, l’impressione generale rimane pertanto non particolarmente elevata.



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Alberto Nucci

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