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VV.AA. Dante’s Paradiso the Divine Comedy - Part III Musea 2010

Terza e ultima parte per quello che può considerarsi il migliore progetto ideato dalla fanzine finlandese Colossus in partnership con l’etichetta francese Musea. A volte criticati, a volte osannati, a volte passati inosservati, è innegabile che questi progetti si siano ritagliati uno spazio importante per il mondo underground progressive soprattutto di questa ultima decade. In mancanza di un vero e proprio gruppo di riferimento per il progressive degli ultimi venti anni, questo tipo di operazioni hanno avuto l’intuizione di spostare l’attenzione di un movimento sul nome Prog e tutto quello che comporta questo genere, mettendo (involontariamente) in secondo piano i musicisti che ci suonano.
E’ innegabile (e il successo di ristampe varie, del ProgExhibition e di manifestazioni simili stanno a dimostrarlo) che, mentre il concetto di progressive e il genere non hanno mai perso fascino nel corso del tempo, i gruppi che in questi ultimi anni hanno tentato di tenere alta la bandiera del prog, a parte casi sporadici e isolati, non sono rimasti nell’immaginario collettivo dell’appassionato medio.
Il rischio di queste operazioni (se è da considerarsi rischio) è che uno ricordi la qualità, sempre alta di questo tipo di progetti, ma non i nomi di quelli che dovrebbero essere i veri e propri protagonisti, ossia i gruppi. Alla fine della fiera sono tutti discorsi però che non interesseranno chi si troverà tra le mani l’ennesimo bel cofanetto curato da Marco Barnard con progetto grafico e copertina di Davide Guidoni e i trentasei (quasi tutti) validissimi capitoli che lo compongono.
Come sempre accade ci soffermeremo più che altro sugli episodi più riusciti tralasciando (per rimanere in tema con la divina Commedia) nel Limbo chi non ha fornito prove per il sottoscritto valide o da ricordare. Cominciamo quindi con il grande (aggettivo che si può avvicinare a pochi almeno qui in Italia) Marco Lo Muscio che, in maniera perfetta, con il suo organo ci accompagna nel Paradiso e, con il brano di chiusura, ce ne fa uscire musicalmente soddisfatti. Parlando del primo CD, impossibile non citare i “Little Tragedies” e il suo grande tastierista Gennady Ilyin che ancora una volta ci dimostra cosa significa unire tecnica e grande senso della melodia. I Greenwall realizzano il primo brano veramente da ricordare di questo lavoro. Riuscendo nell’impresa di “restare nel tema dantesco” (cosa che purtroppo è diventata un optional per molti gruppi), Andrea Pavoni e compagni ci regalano undici minuti che svariano da Vangelis al gospel. Forse il brano migliore realizzato dal gruppo romano in tutta la carriera. I Nexus, dopo prove precedenti (soprattutto per quanto riguarda i tributi) non proprio esaltanti, tornano con la loro “El secundo reino” ai risultati che ci hanno regalato nel passato.
Nel secondo CD sicuramente da menzionare l’ottima prova dei Groovector tornati, con il brano “ Houkutja Kuninkaat”, alle sonorità pastello che aveva contraddistinto il loro esordio discografico “Ultramarine”. Conferme anche dai Faveravola con il loro suono strettamente legato al prog italiano anni 70 e dal compositore russo dei Roz Vitalis che propone alla nostra attenzione otto minuti di alta sinfonicità. Il brano comunque migliore del secondo cd rimane “Cruz del sur” di Jaime Rosas. Dieci minuti dove sia vecchi che nuovi appassionati del genere possono ritrovare semplicità e melodia cose a volte dimenticate negli ultimi tempi.
Il terzo cd (il migliore dei quattro) si apre con il brano dei romani K-bridge, una delle poche formazioni del nostro bel paese che si allontana dai canoni del progressive storico italiano per esplorare sonorità molto apprezzate soprattutto all’estero (penso agli Spock’s Beard stilisticamente parlando). Risultato alla fine molto convincente sperando che ci sia un seguito per questo progetto considerando anche l’età inferiore alla media di chi ci partecipa (a parte l’onnipresente e matusa Davide Guidoni alla batteria ovviamente.)
Interessante il Canto XXI reinterpretato dagli Ozone Player di Otso Pakarinen e ottimo antipasto per il brano che per me rappresenta il capolavoro di questo progetto: “A li occhi belli” dei Jinetes Negros, pomposo, fedele al testo (e cantato perfettamente in italiano cosa non proprio scontato per un gruppo che proviene dall’Argentina), con una linea melodica da incorniciare e con la solita prestazione maiuscola alla voce di Marcello Ezcurru che si conferma tra i migliori interpreti del nuovo corso del rock progressive, rappresenta la vera e propria ciliegina sulla torta per una operazione musicale pienamente riuscita. Accattivante e suonato benissimo il pezzo dei francesi Nemo “Sans voix”, con l’ottimo lavoro di JP Louvelon alla chitarra che farà più che felici gli amanti delle sei corde. I Daal proseguono il loro discorso musicale trasversale e con la loro “Static Star” ci presentano otto minuti e mezzo di musica sempre in bilico tra tradizione e sperimentazione. Progetto musicale che ancora una volta dimostra che si può fare ancora oggi rock progressive senza scimmiottare il passato e senza per forza fare musica che capiranno solo i quindici iniziati di turno per cercare di passare per “nuovi”. La chiusura del terzo dischetto è riservata a Matthijs Herder con dieci minuti con chitarra e mellotron in bella vista.
La bella voce di Mirja Lassila con i suoi Mist Season apre l’ultimo capitolo di questo progetto dantesco, che tra le tante cose belle che ci propone, riserva altre sorprese con il brano di Raimundo Rodulfo, dei Lady Lake e dei Flamborugh Head. Concludendo, le ennesime ottime quattro ore di musica che rappresentano bene quanto di buono può riservare il nuovo rock progressive mondiale; le ennesime quattro ore di musica che fotografano benissimo che cosa sia il rock progressive underground. Un ambiente che all’apparenza sembra vivo, ma che in realtà vive di episodi più o meno sporadici. Episodi che progetti del genere hanno il merito di riunire tutti insieme. Sarebbe bello che almeno due o tre gruppi, tra i cinquanta e passa che hanno partecipato alle tre parti di questo monumentale progetto, raggiungessero la giusta fama e notorietà. Conoscendo bene questo ambiente sappiamo che purtroppo non sarà così e avremo ancora nel futuro altri venti o trenta gruppi l’anno con tante idee che registreranno un paio di brani per progetti e poi si perderanno. Considerazioni pessimistiche a parte, questo cofanetto non lascerà comunque deluso nessuno perché è fatto veramente bene. Lavoro da avere e da ascoltare.



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Antonio Piacentini

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