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VV.AA. Tales from the edge - a tribute to the music of Yes Mellow Records 2012

Se c’è una band che rappresenta il rock progressivo, il cui ascolto si può consigliare ad amici, conoscenti e semplici curiosi che, quando ci chiedono delucidazioni sulla musica che ascoltiamo, rimangono perplessi di fronte ai nostri goffi tentativi di spiegare l’inspiegabile, non c’è dubbio che si tratta degli Yes. Ovviamente gli Yes non sono completamente rappresentativi, non raffigurano la summa ultima definitiva, che probabilmente non esiste e non esisterà mai, ma sono un adeguato compromesso. E’ possibile consigliare un tributo ad un totale ignorante del rock progressivo? Potremmo anche chiederci se nel 2012 fosse necessario un altro tributo ad un gruppo storico di questa portata. In entrambi i casi la risposta può essere positiva, se il tributo in questione è ben realizzato e se l’ipotetico “ignorante” prende spunto da esso per scoprire la discografia della band originale.
“Tales from the edge” è ben fatto, realizzato con passione e cura, a partire dall’audio, chiaro e brillante, e dalla grafica di Maurizio Galia, che riprende gli artwork storici di Roger Dean aggiungendo un buon grado di personalità. L’album è doppio, quindi la carne al fuoco e tanta, anche se per forza di cose è stato necessario fare una dolorosa scelta sulle tracce (su tutte spicca l’assenza di un brano, secondo il sottoscritto fondamentale, come “Yours is no disgrace”). Disparati e provenienti da varie parti del mondo gli artisti coinvolti, ma la predominanza dell’Italia è netta. In circa due ore e mezzo di musica, è possibile fare una carrellata sulla carriera degli Yes, dato che vengono reinterpretati brani provenienti da tutti i periodi storici della band, a partire da quello acerbo degli inizi, per proseguire nel successivo che ha fatto la storia del rock progressivo, in quello che vide l’abbandono di Jon Anderson, per finire verso la deriva del pop rock degli anni ’80.
Nonostante la diversità delle band coinvolte, il risultato finale riesce ad essere molto omogeneo. Le interpretazioni sono alternativamente rispettose degli originali oppure denotano maggiore personalità, senza comunque scadere troppo nell’imitazione pedissequa, eccezion fatta forse per “Siberian Khatru”, a cura di una band-tributo specializzata, e comunque eseguita in maniera spettacolare. Molto belle le parti strumentali di classici come “Starship trooper”, “Machine messiah”, “Heart of the sunrise” e “South side of the sky”, mentre un arduo banco di prova per interpretare i brani degli Yes, la voce di Jon Anderson, viene affrontato, con risultati alterni ma tutti più che decorosi, nei consueti modi della somiglianza spudorata, nell’uso di una cantante femminile o, più semplicemente, abbassando la tonalità.
Interessanti le versioni che più si discostano per alcune particolarità dagli originali, come “To be over”, con arrangiamenti in parte acustici di archi e flauti, “The fish”, dall’andamento cupo e nervoso, “Clear days”, in un’interpretazione dalle sonorità quasi post-rock, i morbidi e jazzati suoni acustici di “Onward”, la purezza quasi new-age dei suoni elettronici di “Holy lamb”, la delicatezza malinconica di “Soon”, che sembra introdurre curiosamente suoni floydiani negli arrangiamenti, la versione al pianoforte di “Mood for a day”, gli azzeccati testi in italiano di “Time and a word” e una bella versione di “Going for the one”, con una struttura più complessa e progressiva di quella risalente a trentacinque anni fa.
“Tales from the edge” è senza mezzi termini un ottimo tributo; può essere un punto di partenza per chi non conosce gli Yes (ma c’è davvero qualcuno che non li conosce?), oppure una raccolta di brani da riascoltare con piacere e per stuzzicare la voglia di riprendere in mano quei vinili o cd dalle copertine colorate e fantasiose che nonostante gli anni che passano continuano ancora ad affascinarci.



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Nicola Sulas

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