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THE WATCH Planet Earth? Lizard Records 2010 ITA

E’ brutto ripetere sempre lo stesso concetto, ma chiunque vuole avventurarsi nel descrivere un disco dei The Watch non può prescindere dal nominare i Genesis, se si vuol essere intellettualmente onesti o non troppo ingenui. E’ inutile cercare di evitare di scrivere quel nome, di arrampicarsi sugli specchi o di cercare di scrivere la recensione originale e creativa: quel nome balza fuori da ogni singolo minuto di ognuno degli album fin qui dati alle stampe da Rossetti e soci. Inutile ricacciarlo indietro, quando il gruppo stesso neanche ci prova; inutile fomentare una teoria del tipo “sì, va bene… i Genesis sono il punto di partenza ma poi il gruppo riesce a crearsi un proprio stile…”. E’ vero: il gruppo, album dopo album, è riuscito a rendersi riconoscibile e a ritagliarsi una propria fetta di identificabilità, ma questo solo ad orecchie minimamente addentro alla musica dei Genesis, come lo sono quelle del 99,9% degli appassionati di Prog.
Il gruppo, come detto, ormai neanche più accenna a distaccarsi da questo accostamento, essendo peraltro riuscito a guadagnarsi una fetta non indifferente di popolarità mondiale proprio portando in giro la riproposizione dei concerti dei Genesis e insidiando il ruolo di miglior cover band agli stra-noti Musical Box. Ecco quindi che questo “Planet Earth?” ci propone nuovamente, a dispetto dell’ennesimo stravolgimento della formazione, salvo il punto fermo di Simone Rossetti ovviamente, un lotto di canzoni che ci riportano inevitabilmente al periodo 1972-76, guidati dal cantato di Simone che sempre di più rimane uguale al suo modello, anche se costantemente sulle stesse tonalità oscure e drammatiche.
Una cosa che salta tuttavia alle orecchie è il fatto che i Genesis, in quanto tali e in quanto originali di se stessi, non erano imbrigliati da regole e clichè, potendo permettersi di spaziare verso soluzioni, diciamo, non genesisiane, o alternare brani giocosi a composizioni dalle tonalità drammatiche. Molti gruppi clone, inclusi i presenti, sono invece in qualche modo costretti a ripercorrere solo i binari stabiliti dall’immaginario collettivo, con ben pochi momenti di distacco. C’è da dire però che uno dei difetti che mi sentivo di imputare ai The Watch degli ultimi due album, ovvero la quasi mancanza di melodie accattivanti che potessero essere ricordate o riconosciute, viene parzialmente a cadere con quest’album. E’ vero che spesso le canzoni sembrano essere inutilmente complesse, senza una vera linea melodica definita, ma tutto sommato “Placet Earth?” presenta, oltre che le solite parti strumentali accattivanti, con profusione di Mellotron, anche momenti in cui ci possiamo ritrovare a canticchiare qualcosa o semplicemente rilassarci ed ascoltare, come nella traccia in cui è presente il flauto di John Hackett.
Ho sempre affermato che, nonostante tutte le critiche riguardo alla scarsa originalità che si possono fare, a me questo gruppo è sempre piaciuto, sicuramente molto di più di tanti altri gruppi cloni similari. Posso affermare quindi che “Planet Earth?” è un album che sicuramente posso consigliare sia per l’accattivante affinità con il gruppo che quasi tutti i proggers amano ma anche per come questo debito viene pagato dai The Watch, per la loro professionalità e per la sapiente opera di songwriting e di registrazione. Insomma… possiamo anche ogni tanto dimenticarci che si tratta di sentieri già ampiamente battuti e rilassarci per un buon ascolto.



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Alberto Nucci

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