Home
 
WOLFSPRING Wolfspring ProgRock Records 2010 FRA

Se un gruppo francese decide di cantare in inglese, allora vuol dire che ha deciso di fare a meno della pesante eredità progressiva della propria terra di origine, sospetto che appare ancora più fondato se il fondatore del gruppo in questione proviene da una realtà musicale francofona come quella dei Nemo. In effetti JP Louveton, chitarrista e cantante dei Nemo, ha deciso di cambiare aria scegliendo uno stile musicale decisamente più proiettato verso il metal, senza per questo rinunciare a contaminazioni sinfoniche che in qualche modo rendono chiara la sua estrazione artistica. Sono sicura che questo debutto di questo nuovo progetto piacerà in sostanza più al pubblico metal che non a quello del prog, pur essendo questo un album abbastanza di confine. A merito del gruppo va comunque detto che gli inflazionatissimi Dream Theater non fanno strettamente parte dei punti principali di riferimento di questo progetto ed i momenti in cui la band di Petrucci & Co. può essere chiamata in causa sono davvero pochi. Il sound dei Wolfspring non si basa su artifici tecnici o vuoti virtuosismi, ma gioca soprattutto sulle atmosfere, sulle emozioni e sulla potenza della musica. Al centro di tutto ci sono potenti riff di chitarra, spesso gracchiante, che non si concede quasi mai momenti di sfacciato protagonismo con assoli tecnici, ma che tenta di creare il giusto stato d’animo di pezzo in pezzo, con il suo sound decisamente poco affilato e preciso. Il drumming dal canto suo è potente e spesso serrato e non a caso è stato scelto come batterista un picchiatore come Ludovic Moro Sibilot, di chiara estrazione metal. In questo contesto, fatto di soluzioni musicali epiche e maestose, vengono inserite qua e là tastiere, usate soprattutto come riempimento o come espedienti per donare maggiore enfasi a momenti drammatici o di particolare pathos. Così nella traccia di apertura, “The Haunting”, introdotta da arpeggi squillanti di chitarra e dalla voce anglofona calda e decisa di Julian Clemens, si fanno spazio, fra la chitarra sferzante, tenebrose orchestrazioni che donano al paesaggio sonoro quel tocco in più senza stravolgerlo più di tanto, come può fare la nebbia pesante in un bosco buio ed insidioso. Allo stesso modo a dominare la successiva “24/7” sono le cadenze incombenti della musica, i riff decisi e tuonanti che si alternano a momenti di relativa quiete, in cui la mente dell’ascoltatore riesce a concentrarsi maggiormente sul cantato, sul significato delle parole, subendo un progressivo incremento della propria tensione emotiva. Non stiamo parlando di niente di innovativo, intendiamoci, queste soluzioni si ritrovano ampiamente nella storia del Metal che nel corso della sua esistenza è stato declinato in mille modi, subendo le più disparate contaminazioni. In particolare alcuni riferimenti li possiamo trovare nei Pain Of Salvation, che rivivono in queste tracce, seppure attraverso una rilettura abbastanza grossolana e semplificata. Quando la band abbandona la sua veste tenebrosa perde molto del suo appeal, come avviene in un pezzo come “Mutation” che si configura come un diversivo abbastanza scadente e scontato. In linea generale, accanto a momenti sicuramente degni di nota, troviamo comunque dei cali di pathos che culminano, a mio modo di vedere le cose, in una traccia conclusiva, che è anche la più lunga (“Our New Media Evil World” di oltre 12 minuti), in cui il gruppo sembra divagare senza raggiungere mai il punto, altalenando fra cori stucchevoli, momenti scanditi da riff secchi e da sequenze ritmiche lineari e cambi di situazione che sembrano non avere un chiaro fine, se non quello di allungare il brodo. Bocciatura finale, nonostante le buone intenzioni e qualche nota di merito.


Bookmark and Share

 

Jessica Attene

Italian
English