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THE WINDMILL To be continued... autoprod. 2010 NOR

Questo debutto discografico giunge dopo 5 lunghi anni di gestazione, tanti quanti ne sono passati dalle prime sedute di registrazione, fra un imprevisto e l’altro, compreso il rimpiazzo del batterista storico Bent Jensen col nuovo arrivato Sam Arne Nøland. Tanto tempo non è passato invano dal momento che possiamo apprezzare in quest’opera numerose ed interessanti idee, espresse però con un sound abbastanza rude e a tratti aggressivo e persino sgraziato. In realtà ci sono diverse cose che arrivano a convincermi in questo album, a partire dalla bella traccia di apertura, “Cinnamon”, uno strumentale ricco di melodia ed energia e segnato da belle influenze Cameliane, ma vi sono allo stesso tempo anche tante ombre che riguardano soprattutto le parti cantate. La Floydiana “The Colour of Seasons” ad esempio è letteralmente sciupata da una voce poco dotata ed incerta e a tratti addirittura sgradevole. La musica stessa sembra afflosciarsi quando fa da base alle liriche mentre prende decisamente il volo nelle parti strumentali. Per fortuna sono proprio queste ultime a prevalere ed i danni vengono così ad essere parzialmente contenuti. In realtà il disco non si presenta affatto unitario e ogni traccia ha le sue peculiarità. Quella che però senza dubbio si erge fra le altre è la centrale e lunga “A Day in a Hero’s Life” che, sebbene si apra con il solito cantato disturbante, presenta in seguito molti sviluppi interessanti, con il suo sound sinfonico, tastieristico ma allo stesso tempo vigoroso e sostenuto da chitarre decise ma non troppo aggressive. Molto bella è in particolare la porzione centrale, con le sue colorazioni folk e medievaleggianti e le graziose parti corali. Il mood epico e trionfante mi fa venire in mente qualcosa dei connazionali Adventure ma tutto viene a stemperarsi nelle belle atmosfere sinfoniche, non raffinatissime a dire il vero, ma molto d’impatto. Nell’arco dei ventuno minuti di durata c’è spazio un po’ per tutto: per la melodia, per gli assoli di chitarra, per aperture dal taglio Crimsoniano con tanto di sax e per un finale persino solenne nelle atmosfere con un bell’organo sullo sfondo. E’ incredibile come questa band riesca ad essere allo stesso tempo così rozza ma anche predisposta alla melodia che ad esempio è presente massiccia in “Eagle”, una sorta di ballad romantica che si potrebbe ballare guancia a guancia con la persona del cuore e che a sorpresa scivola lungo un finale che non starebbe affatto male nel musical “Hair”. Molto dilatata si presenta anche la successiva “Don’t be Afraid”, solcata da un flauto quasi Genesisiano ma scandita allo stesso tempo da una batteria che sembra più che altro un tamburo che detta ritmi di guerra ad un esercito vichingo rozzo e pesante. L’ultimo pezzo, la title track, è uno strumentale per piano e flauto incredibilmente delicato che sembra augurare un prossimo seguito per questo album che trovo comunque interessante pur nelle sue mille contraddizioni ed ingenuità. E allora non ci rimane che aspettare e sperare che le ottime idee qui presenti possano essere messe meglio a fuoco in futuro. Per ora abbiamo un album riuscito a metà ma tutto sommato abbastanza gradevole e degno di essere ascoltato.


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Jessica Attene

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