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WILLOWGLASS The dream harbour autoprod. 2013 UK

Con la calma olimpica di chi nulla ha da chiedere alle logiche commerciali torna, a distanza di cinque anni, il polistrumentista inglese Andrew Marshall con il suo progetto Willowglass. Rispetto ai due lavori precedenti (l'omonimo del 2005 e “Book of hours” del 2008) notiamo la novità del cambio del batterista (il tedesco Hans Jörg Schmitz al posto di Dave Brightman) e l'inserimento al violino, flauto e chitarra di un artista già conosciuto in ambito prog come Steve Unruh. Per il resto tastiere, chitarre e bassi sono tutti ad appannaggio di Marshall.
Altro segno di continuità con i precedenti album è la (bellissima) copertina del CD ad opera di Lee Gaskins.
I sette brani (tra i quali una suite di oltre 20 minuti), che trasudano amore per i grandi classici anni '70, non hanno mai però la patina ingiallita e polverosa dal sapore vintage, prediligendo, Marshall, arrangiamenti ariosi e sostanzialmente moderni. Il gusto e la naturale raffinatezza delle soluzioni adottate sono il “fil rouge” dei brani a cui contribuiscono non poco il malinconico violino ed il delicato flauto che ben si affiancano alle sinuose tastiere e alle chitarre di Marshall, l'ovvio protagonista dell'album.
Non sorprende affatto, quindi, ascoltando la suite iniziale “A house of cards pt.1” ed il suo seguito (“A house of cards pt.2“) il trovarsi immersi nel mondo di “Selling England...”, di “Moommadness”, di “Red” (con meno frenesie strumentali di quest'ultimo però...), di “Thick as a brick” e ancora di “EL&P” (gli ultimi due soprattutto nella “Part 2”...), fonti di ispirazione fin troppo facili ed evidenti. Ma il garbo con cui l'artista inglese sposa e rielabora queste influenze è tale che non lascia certo delusi o, peggio, indifferenti.
La title track, solo per fare un esempio, non avrebbe certo sfigurato nel primo album solista di Steve Hackett oppure in qualche album di Anthony Phillips, tra soavi partiture e qualche apertura carezzevolmente sinfonica. Ricca di romantiche sfumature anche “The face of Eurydice”, ora leggiadra, ora più riflessiva con un gusto vagamente rinascimentale. I tre brani più brevi (intorno ai due minuti ciascuno) non sono dei semplici riempitivi. In particolare, graziosi appaiono l'inserto acustico per sola chitarra di “Interlude No.2” (una vera gemma) e l'altrettanto splendida “Helleborine” in cui Marshall (alla chitarra) è accompagnato dall'evocativo flauto di Unruh.
Un bell'album, dunque, questo “The dream harbour” magari adatto a cuori teneri e sensibili, sobrio ma ricco di “coloriture” che ce lo fanno apprezzare senza esitazioni.


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Valentino Butti

Collegamenti ad altre recensioni

WILLOWGLASS Willowglass 2005 
WILLOWGLASS Book of hours 2008 

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