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THE WORLD STATE Traced through dust and time Death Rides A Horse Agency 2016 DAN

Progressive Metal… Death Metal… Gothic… Prog… Alternative… musica da film… questa band danese, alle prese col suo album di debutto, è un po’ tutto questo. Somiglianze con The Gathering, Dream Theater, Porcupine Tree ed anche coi Godspeed You! Black Emperor sono facilmente rintracciabili nel corso delle 8 tracce dell’album, ricco di variazioni, momenti calmi ed atmosferici e sfuriate imperiose, belle orchestrazioni ed impreziosito di particolari strumentali anche raffinati, con l’utilizzo centellinato di harmonium, archi e accordion. Su tutto questo c’è il cantato angelico, potente ma delicato, di Bina Rosenvinge, graziosa cantante che ha rimpiazzato la -pare- più talentuosa Monika Pedersen con la quale era stato registrato un EP nel 2013.
Il gruppo di Aarhus è nato nel 2009 dall’idea di Leifur, al secolo Leif Nielsen, leader della band e principale compositore, nonché responsabile di basso, tastiere, piano, harmonium e backing vocals. Il lavoro di preparazione di questo album d’esordio è andato avanti per alcuni anni, inframezzato appunto dalla pubblicazione di un EP che li ha fatti conoscere al mondo. “Traced through dust and time” è strutturato su 8 brani, come detto, il primo dei quali è una sorta di invocazione che prelude alla prima vera traccia che si slancia furiosa facendoci presagire un album essenzialmente gothic/metal. La successiva “The Strangest of Places” arriva a placare le acque e a farci capire che Leifur ha altro in mente per la propria creatura, qualcosa di più eclettico e multiforme: la traccia ha una cadenza quasi da post-rock nella sua fase iniziale per poi prendere vita e procedere tra deliziose orchestrazioni, con fisarmonica e harmonium che danno un tocco molto particolare a questo brano molto teatrale e squisito.
La parte centrale dell’album è la più interessante, in effetti: anche la susseguente title-track ci offre momenti epici e trascinanti, con atmosfere molto belle e incalzanti. “From Oblivion To Live Again”, praticamente strumentale, conclude questo bel terzetto di tracce con atmosfere oniriche e malinconiche che potrebbero rappresentare una bella colonna sonora di un bel film drammatico.
“Faith, Hope and the End of the World” è caratterizzato dell’intreccio delle voci di Leif e Bina per un brano che parte lentamente per poi introdurci alla fase finale dell’album in cui si ritorna a correre e a percorrere territori più metallici e l’approccio decisamente più diretto. La conclusiva “Everything Changes” ci saluta in maniera un po’ malinconica, col cantato di Bina che sembra darci l’arrivederci alla prossima puntata.
Un album che non rappresenta esattamente la mia tazza di tè, ma che, specie nei suoi momenti più policromi, ci regala momenti piacevoli.



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Alberto Nucci

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