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WHITE CHAMELEON Beyond the gate of Tannhauser autoprod. 2020 SPA

Il 1983 sembra essere l’anno nel New Prog in Inghilterra. Sulla scia degli ormai già noti Marillion, Pallas e Twelfth Night, numerosi nuovi gruppi cercano di farsi strada nei fumosi club e pub di Londra, proponendo la loro musica che forse difetterà spesso di originalità e di valida tecnica strumentale ma che fa sentire l’entusiasmo di questi giovani musicisti. Tra i molti nomi sembrano esserci questi White Chameleon, non certo peggio di altri, anche se la loro musica risente decisamente delle influenze delle band sopra menzionate. Un approccio però entusiastico e grintoso ci fa passare sopra alle mille ingenuità che comunque non possiamo fare a meno di notare. Sicuramente chi ama questo tipo di sonorità e queste canzoni ricche di pathos riuscirà ad entusiasmarsi anche passando sopra alle molte imperfezioni che un approccio naif e una registrazione un po’ artigianale non riesce certo a mascherare.
Fermi tutti! Mi dicono che questa band non sia inglese né tanto meno britannica. Pare che si tratti di un gruppo catalano e che quello in esame sia il suo quarto album in studio. Bah… davvero incredibile!
Ovviamente ho un po’ giocato… la provenienza geografica della band in teoria è identificabile già dall’avvio della prima traccia, con la classica chiamata del (presumo) batterista “Un… dos… tres…” e via! La musica che si sprigiona fin da subito in queste 8 tracce è quanto di più new Prog classico (mi si consenta questo termine) sia stato dato di ascoltare da molto tempo a questa parte. Veramente sembra di essere alle prese con un album uscito nei dintorni del 1983 e la musica che andiamo ad ascoltare è debitrice di Marillion, Pallas, Tamarisk e band similari. Forse potremmo notare una chitarra un po’ più aggressiva rispetto alla media di questi modelli ma in qualche momento, se si chiude gli occhi, ci sembra di vedere un Fish mascherato che ipnotizza la folla in uno dei magici concerti d’inizio decennio. Certo… la voce di Jordi Mela, che si occupa anche delle tastiere, non è che abbia proprio lo stesso carisma; la timbrica è molto acuta e talvolta un po’ disturbante ma comunque possiede una discreta estensione.
Per il resto, come si diceva, le tracce presentano, nel bene e nel male, tutti i luoghi comuni che taluni amano ed altri ormai odiano di quel periodo musicale. In un certo senso… tutto molto strano. Per quanto mi riguarda… piacevole e poco di più.



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Alberto Nucci

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