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YAK The dark side of the duck autoprod. 2004 UK

Gli Yak nascono dalle ceneri degli Acid Fantasy, band attiva tra il 1978 ed il 1981 ma che in pratica non ha mai suonato dal vivo né stampato alcun vinile. Nel corso di tante vicissitudini e cambi di formazione, il polistrumentista Martin Morgan ha sempre cercato di tenere in piedi l'essenza della sua band, registrando, nell'arco di 20 anni di attività, tutte le idee musicali del gruppo, nella speranza di poterle un giorno ultimare e pubblicare. Quel giorno è arrivato e Martin ha finalmente dato un senso a tutto il materiale in giacenza nei suoi archivi e nella sua memoria. Nonostante si occupi da solo di far lavorare tutta la strumentazione a sua disposizione, il risultato è senz'altro ammirevole. Martin dimostra di avere le idee ben chiare su quanto si propone di ottenere, riesce a far valere le sue doti di sapiente compositore ed abile tastierista e, se proprio la musica non riesce a raggiungere il massimo potenziale auspicabile, questo è dovuto agli spazi angusti in cui il musicista è costretto a muoversi e non certo alla sua imperizia. Il materiale che dà vita a questo CD dalla buffa copertina e dal titolo non meno bizzarro si articola in 8 brevi tracce strumentali, costruite su temi musicali ben strutturati, brillanti nella loro costruzione e agevoli all'ascolto: basterà iniziare dalla prima traccia ed i 32 minuti totali scivoleranno via all'istante, come se si mandasse giù un vinello fresco e traditore. Le canzoni sono costruite fondamentalmente attorno alle tastiere con un esiguo scheletro costituito dalle percussioni elettroniche. Sia adocchiando la copertina, sia leggendo i titoli, in cui figura persino una traccia intitolata "Migration" e anche ascoltando la musica stessa l'associazione più immediata è con "The Snow Goose" dei Camel. In questo caso al posto dell'ochetta di neve troviamo fra i titoli un cigno e nell'immagine della copertina un'anatra. I Camel sono rievocati con tutte le limitazioni del caso: ovviamente manca tutto il lavoro di batteria, basso e chitarra che rendeva speciale il lavoro di Latimer. Tuttavia le tastiere hanno sicuramente dei connotati vagamente Canterburyani, seppure il loro sound sia in effetti poco vintage. Martin ha comunque cercato di valorizzare al meglio la sua proposta, arricchendo il suono con campionamenti ad hoc e cercando di sopperire alla mancanza di strumentazione con le sue rigogliose tastiere ed un preziosissimo pianoforte. Il risultato è a suo modo pregevole e per alcuni versi stupefacente: nel suo piccolo quest'opera si rivela elegante, snella e messa su con tanto buon gusto. Tracce come "Aragorn", dai suoni avvolgenti e Camel oriented o la graziosa e movimentata "Yakrise" non possono che emozionare l'ascoltatore. Insomma, il disco soffre certamente dei difetti propri delle one-man-bands ma ciononostante è comunque molto gradevole e senza dubbio meritevole di essere ascoltato.

 

Jessica Attene

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