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ZONE SIX 10 years of aural psychedelic journeys Sulatron Records 2008 GER

Dopo dieci anni di onorata militanza nell’ala più oltranzista dello space rock psichedelico, un cedimento al desiderio di autocelebrazione può essere considerato quasi naturale: questo potrebbe essere il senso di “10 Years Of Aural Psychedelic Journeys”, raccolta di brani provenienti dagli archivi dei Zone Six, che abbraccia il primo decennio di attività della formazione tedesca.
Si tratta di materiale per lo più inedito, ordinato cronologicamente, alquanto disomogeneo, che ha nella costante presenza del leader-bassista Dave Schmidt il suo principale elemento di continuità. Il decennio messo sotto osservazione in questo album potrebbe essere diviso in tre distinti periodi: gli esordi ovvero il “periodo della cantante”, poi l’intermedio “periodo della musica strumentale” e infine il “periodo delle lunghe jam”. Nel primo periodo, documentato da tre lunghi brani registrati tra il 1997 e il 1998, domina la figura della cantante australiana Jody Barry, dotata di una voce tenebrosa e profonda, perfettamente in sintonia con le cadenze acide e ossessive che caratterizzano il suono dei Zone Six. L’abbandono della cantante, avvenuto nel 1998, apre una nuova fase nella quale viene incrementato il ricorso ai cosmic sounds e a tutti quegli effetti sonori tipici dello space rock. Brano esemplare in questo senso è “Hiddenworld”, incisione in studio datata 2003, roba da corrieri cosmici d’altri tempi. Infine le jam, tre brani dal vivo del 2006, in cui indiretti riferimenti alla musica dei Grateful Dead si miscelano felicemente alla vena improvvisatrice dei Zone Six ed in particolare del chitarrista Julius K. I titoli dei brani in oggetto non potrebbero essere più eloquenti: “Grateful Life”, “Rockhead To Eden” e soprattutto“Infernale Grande”, un lancinante trip cosmico-lisergico, quasi inascoltabile. Nel complesso e al di là dei suoi intenti celebrativi, questo “10 Years Of Aural Psychedelic Journeys” può essere considerato un disco apprezzabile in quanto riesce a documentare compiutamente la decennale evoluzione creativa e sonora dei Zone Six, integrandone coerentemente la discografia; rischia peraltro di rimanere un prodotto di nicchia, riservato agli irriducibili seguaci dello space-psychedelic rock più estremo.

 

Antonio Mossa

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