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PENDRAGON (NICK BARRETT) Mauro Ranchicchio
 

Se pensiamo che negli anni ’80, un ventennio dopo i clamori suscitati dal loro successo, i Beatles ci apparivano come un’entità lontana sia dal punto di vista temporale che da quello sociologico, fa un po’ impressione notare che lo stesso lasso di tempo ci separa dalla stagione d’oro del new-prog inglese. Al di là dei gusti personali, come non provare un senso di rispetto e ammirazione per una band come i Pendragon, che ha attraversato indenne non solo i due decenni, ma anche le mode, le difficoltà personali, quelle economiche, tutti fattori che avrebbero facilmente portato alla resa qualsiasi timoniere privo della passione e della tenacia di Nick Barrett. E’ a lui che rivolgiamo una manciata di quesiti in occasione dell’uscita di un DVD registrato ancora una volta nell’amica terra polacca (il teatro “Śląski im Stanisława Wyspiańskiego” di Katowice) che lo vede protagonista in versione piacevolmente unplugged assieme al compagno di sempre Clive Nolan.

La performance immortalata sul DVD “A Rush of Adrenaline” (come a suo tempo il CD “Acoustically Challenged”) mi ha piuttosto stupito per la fedeltà nella riproduzione di ogni dettaglio dei brani originali. E’ stato difficile riarrangiare pezzi di complessità piuttosto elevata per soli chitarra e piano? E’ stato un lavoro a quattro mani?

Sì, abbiamo lavorato assieme sugli arrangiamenti ma è stato estremamente facile, si arriva ad un punto in cui, avendo fatto musica per così tanto tempo, alcune cose vengono in modo naturale. Non voglio sembrare presuntuoso, ma sai, è come indossare un paio di calzini: dopo un po’ diventa una parte di te, ad esempio, quando abbiamo suonato “Paintbox” ci è parso ovvio che la sezione finale si prestasse ad una variazione dal feeling latino, ho sempre amato la musica latina, così l’abbiamo inserita. Quindi è stato in effetti un lavoro molto facile!

La scelta dei brani presentati suggerisce l’idea che il duo Barrett/Nolan sia un’entità piuttosto democratica. E’ un’impressione corretta oppure la selezione per la setlist non è stata così indolore? Avete provato anche altri pezzi poi esclusi dalla scaletta?

Sì, è un processo molto democratico, Clive ed io ci conosciamo ormai da una vita, anni ed anni, così ciascuno di noi è arrivato al punto di prevedere le cose che potrebbero indispettire l’altro!!! E’ molto facile per noi concordare una scaletta per eventi del genere. Lui ha suggerito che suonassimo “Shadows of fate”, una canzone dall’album “Jabberwocky” del progetto Nolan/Wakeman ed anche “Don’t forget to breathe”: questi due pezzi sono stati piuttosto impegnativi perché sono stati scritti da Clive e non si prestano molto al mio stile naturale, ma come ogni altra cosa nella vita uno potrebbe dire “non ho intenzione di farlo, perché è troppo difficile” ma al contrario accettando ed imparando a farlo sposterai in avanti i tuoi limiti personali; naturalmente, proprio perché è una cosa un po’ più impegnativa del solito, alla fine risulta anche più interessante. La stessa cosa si applica nella vita, quando ti trovi ad affrontare qualcosa di impegnativo significa che è arrivato il momento di imparare qualcosa di nuovo, di ampliare i confini della tua anima. Quindi sì, è stato un processo molto facile.

Il vostro rapporto con il pubblico polacco è ormai consolidato… addirittura il brano “Edge of the World” dei Pendragon è un chiaro omaggio ai vostri numerosi fans in tale paese. Un discorso simile può essere fatto per gli Arena ed altre band inglesi come i Landmarq. Cos’è che ha fatto nascere questo rapporto privilegiato nel vostro caso?

Siamo andati a suonare in Polonia per la prima volta nel 1994 se non erro; Piotr Katlowsky di “Warsaw 3” iniziò a suonare alcuni nostri dischi in radio nel 1984 e questo ha fatto sì che si formasse un’audience, così dieci anni più tardi siamo andati a suonare lì. La gente ci aveva ascoltato su “Warsaw 3” così venne al concerto e già conosceva la nostra musica e fu come incontrare vecchi amici, fu incredibile. Ovviamente, dopo la caduta della cortina di ferro ci fu molta più libertà per la gente, così altre band potettero includere la Polonia negli itinerari dei loro tour; in questo modo si è formato un legame.

Nell’era del download incontrollato com’è cambiata la vita di etichette come Toff Records o Verglas? Ne hanno risentito oppure operando in un mercato comunque di nicchia hanno subito un danno contenuto? Come credete si evolverà la situazione per le etichette indipendenti?

Beh, è davvero difficile, dal punto di vista economico questa cosa ha influito in modo molto negativo sulle vendite dei dischi ed ha reso la vita molto più difficile. Siamo costretti a pubblicare un numero maggiore di prodotti per poter beneficiare anche solo di una frazione dei guadagni che eravamo soliti ricavare una volta. E’ estremamente difficile. Ma come tutte le creature con istinto di sopravvivenza troveremo una soluzione, che potrebbe essere suonare più spesso dal vivo o provare a incrementare i proventi del merchandise, ma in ogni caso l’impatto sulle vendite dei dischi è stato veramente pesante. In qualche modo però siamo piuttosto fortunati, perché il genere di musica che suoniamo fa sì che la gente generalmente voglia possedere anche il booklet ed il CD originale, così in molti casi comprerà anche l’album, quindi da questo punto di vista il danno è limitato. Nella pop music questo modo di pensare non esiste o almeno è più raro. Per il futuro, credo che una volta che la mentalità di scaricare gratuitamente si è così diffusa, sarà molto, molto difficile tornare indietro e richiedere un prezzo per la musica, a quel punto nessuno lo farebbe più. Quindi non credo che le prospettive siano rosee per un gran numero di musicisti e band; sì, i gruppi possono sempre suonare dal vivo e quindi cercare di mantenersi in vita in tal modo ma sai, mettere in piedi un tour è molto dispendioso ed è una cosa che va organizzata in modo molto prudente ed oculato.

La longevità di band come Pendragon, IQ, Pallas ha secondo me quasi dell’incredibile, potendo sì contare su un gruppo di fans fedeli in ogni parte del mondo ma comunque circoscritti nell’ambito dei fruitori di un genere che oggi non smuove certo le masse. Quanto conta la passione quando il fattore economico non è determinante? C’è stato un momento negli anni ’80 in cui un successo commerciale della portata di quello dei Marillion sembrava a portata di mano?

Questo è veramente un argomento strano, perché sì, in effetti nei primi anni ’80 pensavamo di poter diventare ricchi e famosi e seguire la strada verso il successo, non si può mai sapere. Ma con il trascorrere del tempo le cose si sono finalmente rivelate, mostrando una possibilità diversa, ovvero quella di creare la nostra etichetta discografica e portare aventi la nostra carriera in modo autogestito. Tornando alla questione del download, nel modo in cui le cose sono evolute, al momento è davvero difficile sopravvivere con l’autoproduzione, ma siamo decisi a perseverare. L’inseguimento di “notorietà e successo” e un’illusione di tale portata che, come una volta ha detto Sting, molti musicisti non si rendono conto che la vera ricompensa per una band è la musica. Questa è la cosa grande in tutto ciò: la musica e la gente coinvolta. Devi cercare in qualche modo di tenere a freno il tuo ego e dare più importanza alla musica, la band, i concerti, la fase creativa perché è proprio lì che risiede il vero piacere. Dopo 21 anni dalla pubblicazione di “The Jewel” abbiamo appena suonato alcuni concerti con i vecchi membri della band ed è stata assolutamente pura magia ed un enorme divertimento per tutti, sono momenti come questi che restano nella memoria. Fossimo stati molto famosi credo che gli ego avrebbero prevalso, avremmo avuto la defezione di alcune persone o altre che si sarebbero presentate solo dietro la promessa di migliaia di sterline di compenso e queste cose avrebbero completamente snaturato l’occasione; a volte è bello fare musica per il piacere di farlo e non essere una grande band, piuttosto essere una band che pure ad un livello più piccolo abbia un impatto sorprendente sulle nostre vite e su quelle degli altri.

La vostra performance di Katowice immortalata nel DVD sembra immersa nella rilassatezza e nel piacere di suonare. E’ divertente vedere Nick eseguire e cantare i brani di Clive (degli Arena e degli Shadowland) con entusiasmo genuino. Quanto conta l’amicizia nell’equilibrio di una band?

E’ molto importante, è per certi versi molto simile ad un matrimonio! A volte ci sono momenti in cui ne hai veramente abbastanza del tuo partner o dei tuoi compagni di band così come in altri momenti li ami alla follia! Ma se accade che per un periodo di tempo si manifesta un problema nel rapporto reciproco e magari senti di provare rancore o fastidio, bene, significa che è giunto il momento di conoscere un po’ più a fondo l’altro. Cerchi di cambiare te stesso per provare a capire cos’è che sente l’altro, sperando che anche l’altra parte si stia sforzando nello stesso senso. E’ veramente il caso di dire che essere in una band è come essere sposati quattro volte, è una relazione molto intensa e come i matrimoni può incorrere in tempi difficili o portare a momenti fantastici che non si possono ottenere in alcun altra situazione.

A proposito di rapporti personali, è appena stato reso pubblico l’addio di Fudge Smith ai Pendragon dopo vent’anni di servizio. Potete parlarci del nuovo batterista Joe Crabtree? Qual è il suo background?

Quando risultò evidente che Fudge stesse per lasciarci, ci guardammo attorno e iniziammo a fare ipotesi su vari batteristi; ora, io sono un fatalista convinto ed i musicisti che avevamo in mente di contattare risultarono indisponibili per vari motivi ed a quel punto siamo incorsi in Joe, che aveva già lavorato per uno dei membri dei King Crimson ed aveva un interesse personale nel progressive rock; appena mise piede nella sala prove ci siamo resi conto che fosse la persona che cercavamo! Era fantastico, stava imparando un bel po’ del materiale molto rapidamente grazie alla sua capacità di tenere a mente ciò che doveva suonare, ha un grande feel e sta tuttora migliorando in modo costante!

Come procede il tuo progetto di incidere materiale nuovo assieme a John “Barney” Barnfield, il tastierista originale dei Pendragon? Quale direzione musicale avete intenzione di intraprendere? Data la vostra comune passione dobbiamo aspettarci surf-music in stile Beach Boys ?

Beh, non puoi mai prevedere la direzione che prenderà la musica, viene in modo spontaneo e la cosa migliore è proprio questa incertezza, è come cuocere un piatto: non sempre sai come verrà fuori, se sarà un successo proverai una magnifica sensazione, ma l’incognita è ciò che rende il processo così intrigante; generalmente parlando, però, posso dire che la musica che Barney scrive è molto, molto melodica e noi due abbiamo un’intesa brillante lavorando assieme. Credo che tra tutte le persone che ho conosciuto sia proprio Barney quella con cui mi trovo più a mio agio nel collaborare, nello scrivere musica. Il progetto in sé sta procedendo molto lentamente a causa della gran mole di lavoro da svolgere come Pendragon al momento e non credo affatto che ci metteremo a scrivere musica nello stile dei Beach Boys, anche se li ritengo una delle mie band preferite e credo che Brian Wilson sia incredibile, alcune delle sue canzoni sono tra le mie canzoni preferite di sempre.

Qual è il vostro rapporto con gli strumenti acustici rispetto alle sonorità di chitarra elettrica, synth e organo usati nel contesto delle band? Secondo me è una sorta di prova del fuoco, perché tolto ogni orpello si può apprezzare la composizione nuda e cruda e valutarne la creatività… Che differenze ci sono dal punto di vista della performance sul palco? Vi sentite più esposti oppure in un certo senso più liberi da vincoli di sincronizzazione e tempi?

E’ un argomento interessante, perché suppongo che tutta la musica sia valida; spesso ci si chiede se privando una canzone della produzione, questa possa ancora suonare bene, magari solo con l’accompagnamento di un piano o di una chitarra. Si dice sia il test di una buona canzone e spesso credo sia vero, eppure anche se un pezzo dei Pet Shop Boys eseguito con una sola chitarra acustica può suonare differente da una produzione di Trevor Horn, non è detto che non sia ancora valido. Mi piace il modo in cui Ennio Morricone usa sempre strumenti autentici, questo conferisce alla musica uno spirito che la rende viva, e questa è sempre una qualità sorprendente; con l’uso di strumenti elettrici una band ottiene un bel po’ di energia e potenza, i musicisti comunque riescono a sincronizzarsi, quindi non è che si debba fare molta attenzione anche se occasionalmente può succedere che si vada fuori tempo. Non saprei dire: sono due contesti totalmente differenti ed entrambi sono validi. Utilizzando strumentazione acustica in effetti ti senti più esposto, ma ci sono anche dei vantaggi, ad esempio “King of the Castle” è più facile suonarla da solo perché in tal modo posso seguire la mia interpretazione personale della canzone. Quindi sì, ritengo valide entrambe le esperienze.

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