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VEZHLIVIY OTKAZ (Polite Refusal) Jessica Attene & Alberto Nucci
 

Non è facile presentarvi in poche righe i Vezhliviy Otkaz (conosciuti anche con il nome inglese di polite Refusal), anche perché qui in Italia, nonostante il loro grande talento ed un curriculum vastissimo fatto di esperienze pluridecennali, rimangono decisamente una realtà di nicchia, soprattutto per il fatto che i loro dischi erano, almeno fino ad oggi, un po’ difficili da reperire. Grazie alla nostrana etichetta AltrOck, che ha curato la distribuzione in Occidente del loro nuovo album “Gusi Lebedi” (Geese & Swans) e che ha persino annunciato la ristampa di parte del vecchio materiale, c’è ora la possibilità di fare la loro conoscenza senza troppi patemi d’animo.
Non posso fare a meno di lodare l’originalità della loro musica, avanguardistica, cameristica e ricca di trame ritmiche potenti, in grado di entrare subito in sintonia con l’ascoltatore ma senza perdere altro tempo voglio lasciare la parola al leader del gruppo, Roman Suslov, col quale abbiamo ripercorso passo passo tutta la storia della band, dagli esordi in epoca sovietica fino ad oggi. Vi rimando per ulteriori dettagli alla recensione già pubblicata su Arlequins e vi auguro buona lettura.



Nel 1985 avviene la pubblicazione del vostro primo magnetoalbum (registrazione artigianale, non ufficiale. n.d.a.) “Opera-86” (“Опера-86”). All’epoca vi era un folto movimento rock underground non ufficiale o clandestino. Diversamente da questi gruppi la vostra musica appare subito originale ed elaborata. Come giudicavate i gruppi rock underground di epoca sovietica, quale era la posizione dei Vezhliviy Otkaz nei confronti di questo movimento?

La differenza essenziale fra la musica rock underground di quei tempi (così come quella moderna) con altri generi musicali consisteva nell’assenza di musica. Si trattava più che altro di una melo-declamazione anche se in realtà poche persone si curavano del’aspetto melodico (qui c’è un gioco di parole basato sul fatto che in russo “poco” si dice “malo”, con una assonanza quindi dei termini “melo”, melodia, e “malo” n.d. traduttore). C’erano delle eccezioni ma erano per lo più immaturi, derivativi e provinciali. Tutti facevano protesta e cercavano in tutte le maniere di essere provocatori ma lo facevano in maniera poco chiara e comprensibile. Alcuni musicisti ebbero grande successo ma in definitiva il rock del periodo, essendo basato essenzialmente sui testi, rimase un fenomeno puramente locale, isolato, non accessibile o comprensibile al di fuori della Russia. I Vezhliviy Otkaz stavano imboccando la propria strada cercando di trovare i mezzi per ottenere la propria identità musicale così da distinguersi da quel fenomeno, agendo in parallelo ma certamente in contrasto con esso.

Eravate liberi di suonare la vostra musica in quel periodo? Come siete riusciti a registrare “Opera-86” e di che mezzi disponevate?

Sì, ero assolutamente libero. Abbandonai il mio lavoro da ingegnere e anche mia moglie per dedicarmi interamente alla musica. La prima parte dell’opera è stata composta nell’appartamento del coautore e pianista P. P. Plavinsky. Avevamo una console per il mix artigianale con canali in antifase (così quando suonavamo in mono, alcuni strumenti cancellavano gli altri). V. Alisov, un mio amico, ci fornì un registratore Tascam a due canali, chitarre fatte a mano, una drum machine Yamaha RX-11, un synth Korg. La seconda parte di “Opera-86” fu registrata con un batterista dal vivo, M. Mitin, in uno studio della scuola regionale della Milizia (unità di polizia per incarichi speciali) con il supporto del colonnello V. Baklanov, un appassionato di musica.

Quali erano le vostre fonti di ispirazione all’inizio? So che a livello underground, in epoca sovietica, vi erano già esperienze musicali pionieristiche di musica rock “da camera”, come i Sonans di Sverdlovsk. Avevate contatti con queste realtà o con altri gruppi simili?


Non avevamo né fonti di ispirazione particolari né contatti con questi gruppi ma facevamo solo musica di protesta.

Siamo in piena Perestroika quando pubblicate il vostro primo LP ufficiale per l’etichetta di stato Melodiya. Come siete riusciti a diventare un gruppo ufficiale?

Moda. Flirtare con gli emarginati era di moda. Alcune avanguardie del partito all’interno del Komsomol (unione della gioventù comunista) si sono dimostrate “eroiche”: loro suggerivano cosa potesse essere di moda.

Con “Ethnic Experiences” ("Этнические опыты") il vostro sound diventa più maturo e personale ed inizia a somigliare a quello che è il vostro attuale stile musicale. Quali esperienze e quali fattori sono stati maggiormente significativi per lo sviluppo del vostro stile musicale? Nel titolo di questo album vi è un riferimento alla musica etnica ma non riesco a leggervi nessun chiaro e preciso riferimento al folk del vostro paese anche se forse in qualche modo la musica ha degli elementi “etnici”, che tipo di esperienze etniche possiamo trovare nella vostra musica?

Sembra che questa sia musica etnica che non esiste (citazione che ho preso in prestito). E’ quasi come tornare indietro verso le proprie radici, verso l’autenticità della Natura. Bene, in realtà è piuttosto difficile ricordare ora ciò cosa sembrava che significasse per me allora. Molto probabilmente si trattava soltanto di una forma efficace e pratica di ostinato che permettesse sia l’improvvisazione modale che la creazione di picchi drammatici. Poi le none dell’accompagnamento, in movimento, creano un senso costante di tensione. Volevamo unire una melodia semplice e lirica con una ritmica interna turbolenta ed un supporto armonico. E’ come se mormorassi fra me e me una melodia dolce e familiare ma allo stesso tempo la mia anima fosse in fiamme.

"Ethnic Experiences" è stato pubblicato nella sua prima edizione da un’etichetta Finlandese, la Rockadillo. Come è avvenuto il contatto con questa etichetta?

Fra i paesi capitalisti, la Finlandia era quella più vicina a San Pietroburgo. Il primo Rock-Club del Paese aprì proprio a San Pietroburgo. San Pietroburgo è vicino a Mosca. Un mio carissimo amico, S. Lagoyskiy, che a quel tempo era il più grosso amico del popolo finlandese all’interno della SSOD (Associazione Sovietica per l’Amicizia e le Relazioni Culturali con i Paesi Esteri, un’organizzazione statale) era un melomane e un promotore del’arte sovietica. Tutto si è incastrato in senso positivo (qui pronuncia la parola Russa per “incastrato”, sovpalo, con un buffo accento finlandese n.d. traduttore).

”I-I-Raz” (“И-и раз!”) è considerato uno dei vostri album più maturi ed è dedicato ad alcune celebri danze. Nonostante questo non si tratta certo di canzoni da ballare! Come vi è venuta questa originalissima idea? E’ vero che lo avete realizzato in pochissimo tempo?

Hai ragione anche se ballarle è possibile e io so bene come. L’idea non è nuova ed è semplice: una tipica tecnica postmodernista consiste nel creare un nuovo contesto per dei cliché. Il contesto tuttavia qui varia di continuo. Lo abbiamo concepito durante un tour in Italia e lo abbiamo messo assieme davvero velocemente impiegando tre giorni per la registrazione e tre giorni per il mix

Nel 2002 è stato dichiarato lo scioglimento del gruppo, con tanto di concerti di addio. Cosa era successo e cosa vi ha fatto cambiare idea dopo tanto tempo?

Abitavo in campagna e allevavo cavalli e turisti amanti dei cavalli. Ero così preso dalla mia vita di campagna che questa ha finito per eclissare tutto il resto rendendomi incapace di comporre. Ma poi bang! Un cavallo mi ha spezzato una gamba. Ed eccomi a Mosca lontano dai pascoli. Gli amici moscoviti appassionati di musica mi hanno promesso montagne d’oro e alla fine mi hanno comprato.

Giudico il vostro ultimo album “Гуси-Лебеди” (“Geese and Swans”) come il migliore della vostra discografia (anche se devo dire che è davvero difficile scegliere). Mi sembra quello più completo e lo sento molto vicino ad un altro vostro bellissimo album che è “Коса на камень” (“Steel on Stone”). Come è avvenuto questo ritorno a certe sonorità, soprattutto dopo un album molto più jazz oriented come “Герань” (“Geranium”)?

Ogni nuovo lavoro riflette un certo periodo della mia vita. In un certo senso, ogni cosa di cui mi occupo al momento è la mia realtà. Idee e concetti somigliano più che altro a decorazioni e schemi. Ho inventato poco: è venuto tutto spontaneamente. La somiglianza fra i due album che hai menzionato sta solo nei principi degli schemi ritmici ma, come ha notato il sassofonista P. Tonkovid, in “Kocа” sto imparando a parlare mentre in "Гуси" chiacchiero già con disinvoltura.

Perché un titolo così strano per il vostro ultimo album “Гуси-Лебеди” (“Gusy-Lebedy”, “Oche e cigni”)?

Non è più strano di tanti altri detti popolari russi come tari-bari, shalyay-volyay, humpty-dumpty ma “Gusy-Lebedy” ha anche un lato metafisico: è il modo in cui guardiamo le nuvole passare.

Durante i vostri concerti cambiate spesso gli arrangiamenti dei pezzi e vi è spazio per l’improvvisazione. Che ruolo ha l’improvvisazione e la vostra attività dal vivo nella composizione delle nuove canzoni?

L’improvvisazione ed i concerti non incidono in nessuna maniera sul processo compositivo. Al massimo possono far crescere l’irritazione per la ripetizione e le variazioni dello stesso tema

Risale al 2009 la vostra collaborazione con l’orchestra Persimfans (la prima orchestra senza conduttore, fondata nel 1922 e recentemente riformata. n.d.a.) Come è nata questa collaborazione e cosa vi ha lasciato questa esperienza?

Niente di che. Solo una ventata di aria fresca, un supporto di archi in alcune nostre composizioni e inoltre ho cantato ‘4 Newspaper Advertisements’ di A. Mosolov (compositore russo del Novecento n.d.a.). Ma il contesto è importante e fortunato dal momento che è molto difficile per noi che viviamo nella post Unione Sovietica di trovare una giusta occasione per presentare la nostra musica al pubblico ed essere sicuri che sia percepita in modo appropriato.

Ho letto che nella vostra storia avete suonato molto in Europa e anche in Italia. Avete qualche ricordo particolare che vorreste condividere con i vostri ammiratori italiani?

Abbiamo suonato in Italia molte volte ed il pubblico è stato sempre amichevole e ha ben risposto. Siamo stati fortunati. L’Italia è stato l’unico posto dove, col supporto dei nostri amici, abbiamo potuto esibirci per il nostro pubblico target e non per qualche ascoltatore occasionale con l’etichetta dell’onda rossa. L’Italia è stata la meta del mio primo viaggio lontano dal mio paese, Non potrai mai immaginare come mi sentissi… e cosa significasse per me.



Ringraziamo per l'aiuto Slava Nedeoglo



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