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COCAI (Pierluigi Pandiani) Andrea Parentin & Giovanni Natoli
 

Siamo lieti di pubblicare questa intervista realizzata dall’amico Andrea Parentin con il prezioso ausilio di Giovanni Natoli, cugino di Pierluigi Pandiani, storico membro del gruppo. I Cocai sono riusciti a dare alle stampe un solo album, “Piccolo grande vecchio fiume”, e questa chiacchierata ci permette di conoscerlo meglio alla luce di tanti curiosi retroscena che vi invitiamo a scoprire.

Tanto per cominciare, dove, come e quando si è formato il gruppo e chi sono i musicisti che ne hanno fatto parte?

Il gruppo si è formato nel 1970 e la formazione base era :Amedeo Biasutti (Theo), Pierluigi Pandiani (Gigi Pandy) e Luigi Turin (Tury). Poi si sono aggiunti: Steny (Stefano) e Paul (Paolo), fratelli di Amedeo Biasutti. mentre Gigi e Tury sono cugini.

Come è avvenuta la scelta del nome del gruppo?

Siamo passati attraverso vari nomi dettati più che altro dai luoghi a dagli impegni che ci venivano proposti, come sale da ballo, concorsi o festival. Perciò siamo stati 1) Draps, 2) New Draps, 3) Baronetti e infine Cocai che in dialetto veneziano significa "Gabbiani"

Quali gruppi vi hanno ispirato maggiormente quando avete deciso di fare i musicisti? Molti utenti di questo sito erano troppo giovani all’epoca. Potete descrivere la scena musicale italiana all’inizio degli anni settanta e il passaggio dal beat al progressive?

E' abbastanza semplice da spiegare. Negli anni 60, nel panorama musicale italiano c'erano solo gruppi melodici (Equipe 84, Camaleonti, Ribelli, Dik Dik etc., con le influenze dei Beatles e dei Rolling Stones) e la musica richiesta nei vari settori di consumo era questa mentre il prog era ascoltato negli ambienti studenteschi e quindi più intellettuali, dove c’era effettivamente una ricerca di novità, specialmente provenienti da oltreoceano con i movimenti beat o freak, soprattutto dopo Woodstock, gruppi anche sconosciuti ma interessanti, come gli gli East Of Eden con l’album “Snafu” che han fatto conoscere anche nuovi strumenti e nuove sonorità. Per esempio dalle chitarre Eko si è passati a scoprire Gibson o Fender, le twin necks, gli effetti tipo i distorsori, i flanger o i mouth tube, cose che per noi erano sconosciute; ampli tipo i Vox o i Marshall, organi come gli Hammond con l'effetto rotatorio oppure il parlato nel flauto e nel sax (vedi Jethro Tull) o le percussioni usate come strumenti solisti e non come semplice metronomo e il basso che prendeva una dimensione predominante usato con lo slap o il plettro. Un insieme, quindi, di sonorità nuove che colpivano ed erano più consone anche nell'ambito di una società che stava radicalmente cambiando e non senza traumi e grandi movimenti di pensiero. E' chiaro che agli utenti odierni sono arrivati gli echi di ciò che poteva essere il panorama musicale italiano prima dei 70. Fino all'avvento prepotente del rock in Italia la musica cosiddetta leggera consisteva in ciò che veniva presentato ai Festival e si considerava solo ciò che era commerciale e quindi consumistico e non certo geniale e progressista.

Avete fatto molti concerti? Avete partecipato a qualche festival o suonato con altri gruppi dell’epoca?

Abbiamo partecipato a manifestazioni come "Musica Jeans" nel 74, "Rosa d'oro" nel ‘75, "Cantaveneto 76" con esiti non molto lusinghieri dal momento che le nostre esecuzioni erano radicalmente diverse da quelle degli altri partecipanti. Per quanto riguarda i concerti, beh, dopo il primo, al teatro Arsenale a Venezia ci siamo esibiti in Piazza S. Marco qualche giorno dopo il concerto dei Wings di Paul McCartney nel periodo di Band On The Run; nel 1975 al teatro Rondanini (Villa Del Conte) etc etc e devo dire con esiti nettamente migliori, tanto che, due o tre volte alla settimana, fino al 1978, venivamo invitati e intervistati su tutte le reti private tv che all'epoca si stavano sviluppando, e le radio FM che trasmettevano i nostri pezzi quotidianamente.

La scena rock progressiva Italiana degli anni settanta ha prodotto molti ottimi dischi. Quali sono i vostri preferiti e quali suggerireste di ascoltare a chi si avvicina per la prima volta a questo genere?

A distanza di ormai 40 anni mi è un po' difficile ricordare, però se dovessi consigliare direi: PFM, Banco del mutuo soccorso, Area, Tomsome, New Trolls, Zodiaco e molti altri che non sono noti ma che si possono trovare negli archivi.

Cosa ricordate della registrazione del vostro album “Piccolo grande vecchio fiume”?

Erano i giorni caldi della rivolta studentesca, quando realizzammo il disco, e noi arrivammo a Bologna trovando la città presidiata dalla polizia e con scontri ad ogni angolo di piazza. Il clima era veramente incandescente. Alla Fono-Print, lo studio della Fonit Cetra abbiamo trovato grande collaborazione ed un tecnico eccezionale, Maurizio Biancani, che sarebbe poi diventato uno dei più considerati in tutta Europa; ci siamo trovati davanti ad uno Studer 32 piste" che incuteva timore. Pensate che per noi che eravamo abituati a suonare live e tutti insieme, entrare singolarmente ed eseguire la propria parte è stato un notevole impatto choc. Ricordo che prima di cominciare ognuno di noi faceva lunghe sorsate di grappa al miele per trovare non tanto la concentrazione quanto il calore e l'enfasi alla quale eravamo abituati, al feeling che ricevevi dal pubblico e che trasformava ogni esibizione in un singolo evento, diverso l'uno dall'altro, sebbene con la stessa unica matrice musicale. Comunque ce la siamo cavata abbastanza bene, considerando che abbiamo registrato in 48 ore quando sarebbe servito un mese per un prodotto così complesso; e il missaggio, fatto in un giorno non ci ha permesso di curare a fondo le timbriche e le tracce più consone, ma, essendo autoprodotti, le spese erano gravose.

Potete dirci qualcosa riguardo alla vostra esperienza con l’industria discografica? Avevate un manager? Chi è stato il vostro produttore e che ruolo ha avuto nella registrazione del vostro album?

L'industria discografica italiana, all'epoca, cercava solo di monetizzare e quindi prodotti vendibili. Ecco perchè "Le mie storie" diventò "My stories", in inglese, con Theo che non capiva una parola. Sono stato costretto persino a scrivergli la pronuncia trasformando così il pezzo più bello in un polpettone incomprensibile per il testo, mentre musicalmente è a mio parere delizioso. Vi sono cambi improvvisi di ritmo dai 4/4 ai 5/4, inseriti perfettamente in fraseggi pregevoli. Avevamo un manager che però era antiquato nei gusti e nella cultura, così abbiamo deciso di autoprodurci. Il confronto con i discografici è stato deleterio perchè Piccolo Grande Vecchio Fiume non fu considerato vendibile; una delle ragioni fu che tutti obiettavano la scelta della voce solista che aveva una voce melodica, non adatta al rock, mentre la voce rock del gruppo ero io, che normalmente, nelle serate, cantavo i Deep Purple, i Rolling Stones, i Beatles, i King Crimson, Clapton etc. Theo era comunque un gran chitarrista con grande padronanza dello strumento. Le case editrici come la Curci o la Ricordi trovavano invendibili le partiture che erano il fulcro del mercato; erano troppo complicate.

Come sono nati i vostri pezzi? C’era un compositore principale o erano un lavoro di gruppo?

C'era un autore dei testi, Flanin, le scelte musicali e gli arrangiamenti sono frutto del lavoro del gruppo.

Di cosa parlano i testi dell’album? Quanta importanza avevano i testi rispetto alla musica? Chi si è occupato della copertina del disco?

Come detto i testi sono stati scritti da Flavio Zanin (alias Flanin), insegnante di storia dell'arte e proprietario dello Studio Prisma che ha curato la copertina del disco, pregevole acquerello con scritta a "chicchi di caffé", primo esempio assoluto. I testi sono stati importantissimi per la seguente direzione musicale. Il tema del disco, un concept quindi, raccontava la giovinezza di un bambino (Zanin stesso) che aveva vissuto la tragedia del Vajont. Da questo "Piccolo grande vecchio fiume" (il Piave) che, in un'ora maledetta, ha cancellato interi paesi e ucciso 1750 persone. Quindi l'impatto emozionale nel musicare un argomento così tragico era notevole. Questo disco doveva essere inserito in un programma scolastico unitamente ad un volume con il racconto di tutta la storia della diga del Vajont; poi non se ne è fatto più niente.

Perché sulla copertina del disco avete usato degli pseudonimi e non i vostri veri nomi?

E' stata una scelta sciocca; pensavamo che dal momento che nessun gruppo veneziano aveva avuto successo, spacciandoci per stranieri avremmo sfondato ma, ripeto, abbiamo sbagliato.

Quali sono le ragioni che hanno portato allo scioglimento del gruppo?

Lo scioglimento del gruppo è stato determinato da varie ragioni, per prima ci metto la provenienza e la storia musicale dei componenti. Io e Tury venivamo da un background rock proiettato nella sperimentazione e nella continua ricerca mentre i fratelli Biasutti erano provenienti da esperienze melodiche ed essendo titolari di imprese commerciali hanno pensato che era meglio dedicarsi al commercio. E han fatto bene, oggi gestiscono tre ristoranti, un albergo e vari negozi. Io e Tury abbiamo continuato l'avventura musicale, Turi con molte formazioni come session-man. La sua cultura, competenza e bravura lo hanno portato a notevoli esperienze anche con gruppi famosi (tra cui alcuni comprendenti membri dei Deep Purple) e a tutt'oggi è in attività. Io nel 1979 ho inciso un altro LP, "Ironie", tutti pezzi scritti interamente da me e anche arrangiati e cantati, coadiuvato da musicisti di spessore tra cui Turi. Due dei nove pezzi del disco sono spiccatamente progressive e denunciano la mia origine, gli altri sono più soft ma sempre nel solco del rock, com'è nella mia natura. Purtroppo il disco è rimasto nel cassetto...

Potete descrivere la scena musicale in Italia alla fine degli anni settanta e nei primi anni ottanta? Secondo voi quali sono le ragioni che hanno portato al declino del rock progressivo in quel periodo?

Alla fine dei 60 e nei 70 i gruppi facevano praticamente vita in comune lavoravano, suonavano e erano sempre insieme, come una famiglia. Tutto nasceva attraverso il gruppo, i pezzi erano frutto di un lavoro collettivo, erano veri e propri parti di più menti che si univano e spesso si scontravano. Si mangiava, beveva e dormiva insieme. Io, Paolo e Theo eravamo già sposati e con figli eppure passavamo più tempo col gruppo che con le famiglie. Con l'avvento della musica elettronica questo tipo di vita è finito; i musicisti diventano come i basisti, vanno in studio un'ora, incidono e se ne vanno. Non ci sono più ore e ore di estenuanti prove. Il rock invece nasce così, dall'incontro-scontro di menti e abilità diverse. Io sono autore di testi ho il dono di saper creare scrittura e melodia, il resto si faceva tutti insieme. Tutti noi leggevamo a prima vista; Steny e Tury avevano studiato al conservatorio. Noi, i più vecchi avevamo frequentato scuole private di teoria e strumento. Il progressive è morto con la disco-music prima e con la techno-elettronica dopo. All'epoca sono sopravvissuti solo i cantautori, è per questo che sono tornati in auge i vecchi gruppi oggi: perchè c'è voglia di musica vera che si senta sulla pelle e che quando la ascolti ti faccia venire i brividi. Questo è rock e non dimentichiamo le origini, il soul e il blues.

Cosa fanno al momento i vecchi componenti del gruppo? Siete ancora in contatto? Di recente molti gruppi storici si sono riformati. C’è qualche possibilità che anche i Cocai riprendano il loro percorso musicale?

Non credo sia possibile che i Cocai tornino sulla scena, forse io e Tury magari...I fratelli si occupano ormai delle loro aziende. Comunque siamo in contatto. Venezia è piccola...

C’è altro che volete aggiungere a questa intervista?

Vorrei aggiungere che mi piacerebbe vedere uscire assieme all'ellepì quel numero 2, "Ironie" perchè è comunque la naturale evoluzione dello stile Cocai... Ciao!



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