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SAEEDI, SALIM GHAZI Francesco Inglima
 

Salim Ghazi Saeedi, ex chitarrista del gruppo prog metal Arashk e autore di due album solisti (“Iconophobic” e “Human Encounter”) nel giro di un anno, è un personaggio indubbiamente interessante e inusuale. L’Iran, nazione dove vive, non è certo un posto che facilita coloro i quali vogliano suonare Progressive, tuttavia, a dispetto delle difficoltà che l’hanno costretto a suonare da solo tutti gli strumenti e ad autoprodursi i suoi album, è riuscito a realizzare la sua musica. Grazie all’estrema gentilezza e disponibilità di Salim, questa intervista ci fornisce una visione del suo mondo.


Qui in Europa quando le persone che leggono di te per la prima volta, queste possono avere come prima reazione: “Oh, fanno progressive rock anche in Iran!”. Sicuramente questo stupore deriva da un’immagine stereotipata della tua nazione. Puoi dirci qualcosa in più riguardo alla scena rock persiana?

Oggigiorno la scena rock persiana non è molto attiva in Iran, ma come avviene in qualsiasi latitudine, le menti degli artisti come me sono capaci di viaggiare con la loro immaginazione in ogni regno, incluso il genere musicale del rock progressive. Sicuramente per via della recessione culturale derivante dalle politiche conservative iraniane, la comunità artistica in questo tipo di generi musicali è molto debole. Durante la mia carriera musicale ho principalmente agito da solo o lavorato con la mia precedente band, Arashk.
Certamente ora che i media stanno diventando sempre più accessibili, penso che stiamo forse restringendo il mondo a un livello tale che l’importanza nazionale all’interno delle culture svanisce e ognuno sceglie le sue preferenze da ogni fonte possibile. Così, secondo me, non mi sento di appartenere ad una specifica cultura e quindi non mi sorprende trovare diverse forme artistiche eseguite in ogni parte del mondo.
Pur rivalutando il contesto dove sono cresciuto, le mie esperienze artistiche/culturali hanno avuto poco a che fare con l’Iran. Forse ciò è dovuto alla rivoluzione politica e agli otto anni di guerra che hanno impedito all’Iran di diventare un terreno fertile per gli artisti per promuovere loro stessi. Anche oggi i media nazionali raramente promuovono forme artistiche o culturali non legate alla religione o ai valori della rivoluzione. E’ interessante notare che, non appena ho iniziato a produrre la musica che veniva dal mio cuore e la mia anima, sia stato paragonato da alcuni critici alla corrente musicale del RIO e Chamber Rock belga e francese degli anni ’70! Chi lo sa? Forse è quella la mia vera casa…

La tua nazione ha sempre avuto una storia importante ed è stata terra di grandi artisti, sebbene da qui sembra che la vita sia abbastanza complicata per loro. Forse potresti spiegarci meglio cosa significa essere un artista in Iran?

Spesso ho sentito dagli artisti iraniani che qui c’è abbondanza di ispirazioni utili per la creazione artistica. Forse ciò è dovuto alla diversità culturale fra le varie parti del paese, un caos incontrollato in lotta tra i valori moderni e quelli tradizionali, o forse sono le limitazioni che spingono l’artista a diventare più creativo cercando nuove forme di espressioni. Effettivamente sono d’accordo con questa nozione. Penso che abbia sentito il bisogno di trovare un mezzo come la musica per esprimere il mio sovraccarico mentale e sensoriale dovuto all’estrema paura per la guerra e alle altre sciagure interne alla società dove sono cresciuto.
Non trovo per niente piacevole la vita artistica in Iran. Oggigiorno i mezzi di espressione sono controllati dai governanti. Per poter pubblicare, eseguire, esibire qualsiasi cosa, incluse le arti creative, devi chiedere il permesso al ministro della cultura e guida islamica. Così in un certo senso, dal momento in cui tu crei qualcosa, fino a quando non ottieni il permesso, il tuo pensiero è illegale. Inoltre esistono dibattiti religiosi sulla musica, danza e altre forme di espressioni artistiche considerate haram (punibili dalla legge). Credo che sia troppo complicato per un artista capire come il processo di creazione abbia origine al di là di considerazioni buone o cattive. Quindi sarebbe forse più saggio o ironico accettare il peccato originale, citando una poesia che ho scritto una volta in persiano: “Perché i saggi folli non abbandonano l’esecuzione… arti visuali, danza e cinema? Non sono queste illusioni? Manifestazioni incomplete di illusioni non risultano ossessioni? I saggi folli sono morti?”

C’è qualche musicista persiano, o più in generale qualche artista, che ha avuto un’influenza significativa su di te?

Non direttamente, ho principalmente ascoltato la musica occidentale. Comunque lo stile degli strumenti solisti suonati nella musica tradizionale persiana mi ha ispirato nello sperimentare lo stesso con la chitarra elettrica. Penso che questa sia una cosa teatrale e nuova nel mondo della chitarra elettrica. Puoi averne un esempio nella canzone “Artemis the Huntress” dall’album del 2008 “Ustuqus-al-Uss”. Comunque riguardo agli artisti persiani, nel mio secondo album con gli Arashk, “Sovereign”, hai dei temi ispirati dal Shahnameh, un poema epico di Ferdowsi, poeta classico iraniano.

Nella tua biografia scrivi che ascoltare i Nirvana per la prima volta ha rappresentato una svolta nella tua vita e nella tua carriera musicale e che grazie a Kurt Cobain hai iniziato a suonare la chitarra. Partendo dai Nirvana, come sei riuscito ad arrivare all’avant prog che è al lato opposto dell’universo rock?

Penso che il processo di composizione musicale sia come camminare all’indietro. Realizzi la tua intenzione solo dopo che è stata compiuta. Non puoi decidere che suono comporre. Il suono decide.
Non so come arrivi alla mia testa l’ispirazione musicale e comunque non ho sentito la maggior parte delle band a cui sono stato paragonato (come Univers Zero, John Zorn, etc…). Ho appena provato a trovare la cultura musicale a cui appartengo ascoltando le mie orecchie interiori e sono così arrivato all’avant prog. Certamente continuando con questo approccio non mi sorprenderei se nel futuro giungessi a differenti generi musicali!

Non mi piace stereotipizzare la musica, ma tu hai affermato che hai iniziato a suonare il progressive e il RIO spontaneamente, senza conoscere troppo circa questo genere, Una volta raggiunto questo “punto” hai iniziato a studiare maggiormente questo genere? Quali sono i tuoi artisti preferiti?

Dopo aver ricevuto le critiche riguardo a “Iconophobic”, mi sono informato un po’ più seriamente sul RIO, rock sperimentale, la scena Canterbury e l’art rock. Ogni volta che venivo paragonato ad un artista che non conoscevo (nei quali sono inclusi la maggior parte degli artisti elencati nella pagina del mio sito alla pagina “Sound Like”) ho provato ad ascoltare i loro lavori… Tra loro ho particolarmente apprezzato gli Univers Zero e gli X-Legged Sally.

Hai iniziato la tua carriera musicale con una band prog metal chiamata “Arashk”. E’ un progetto ancora attivo? Perché gli altri membri degli Arashk non ti hanno seguito in questa tua evoluzione musicale verso il progressive, rock sperimentale e jazz rock?

Quando sono entrato negli Arashk nel 2004, Pouyan Khajavi e Shahram Khosraviani stavano lavorando su un progetto hard rock con parti vocali in persiano. Fino al 2008, quando quel progetto terminò con l’album “YELL”, ho composto come membro degli Arashk tre album strumentali di progressive metal (“Abrahadabra” 2006, “Sovereign” 2007 e “Ustuqus-al-Uss” 2008) nei quali, successivamente, ho trovato influenze jazz rock e fusion.
Negli Arashk abbiamo sempre avuto sessioni regolari di prove. Tuttavia le limitazioni sulla scena rock in Iran hanno impedito ai membri di stare ancora assieme dopo quattro anni di prove (2004-2008) con solo tre concerti nelle università. Abbiamo anche provato ad iscriverci a qualche festival all’estero, ma non ci siamo riusciti a causa dei costi e delle pesanti limitazioni per viaggiare sui passaporti iraniani. Quindi dopo il 2008 gli Arashk hanno terminato ogni attività e io ho proseguito con la mia carriera solista. Penso che gli Arashk siano in coma! Se i membri vedranno una seria opportunità, penso che allora ci potranno essere le possibilità di tornare assieme.

Nei tuoi album da solista suoni tutti gli strumenti. E’ stata una scelta o una necessità?

E’ stata una necessità. Non ho accesso ai musicisti professionisti che suonano jazz o rock in Iran. Oltre ai miei album da solista ho suonato tutti gli strumenti anche in 3 album degli Arashk, “Abrahadabra” (2006), “Sovereign” (2007) e “Ustuqus-al-Uss” (2008) con qualche piccola eccezione riportata nei crediti degli album.

Possiamo dire che una delle differenze principali tra “Iconophobic” e “Human Encounter” è che tu sei diventato più auto consapevole della musica che stai suonando?

Credo che da “Iconophobic” a “Human Encounter” ci sia una transizione dalla “fobia delle icone” a “incontrare le icone”. “Iconophobic” è composto da un punto di vista di un neonato. Ad esempio, nella canzone “Give my Childhood Back”, ho provato a descrivere i suoni che posso aver sentito dal mondo esterno quando fluttuavo nel ventre materno (ad esempio la realtà o il mondo delle icone).
In “Human Encounter” ho visitato la terra e ho provato a mostrare il mondo nella sua forma più completa, le cose belle e le cose brutte che ho incontrato. Penso che attraverso l’osservazione acuta e riflettendo sul mondo, l’artista aiuti la realtà a trovare il suo significato attuale nella mente delle persone. Penso che le persone spontaneamente non disegnino linee precise fra i mondi soggettivi e oggettivi finché non le realizzano attraverso un mezzo tangibile (tra cui le forme artistiche) e questo accade sicuramente anche per l’artista stesso. Ora, dopo aver composto “Human Encounter”, ho in qualche modo trasceso la natura ossessiva per molti dei miei dolori e piaceri e sono capace di andare con la mia vita verso nuovi regni.

I tuoi pezzi sono sempre abbastanza brevi, come mai?

Nel 2006, dopo aver composto il mio primo album con gli Arashk, “Abrahadabra”, ho scritto: “Mi piacciono i dettagli esagerati e le tecniche molto delicate degli strumenti e quando mi capita di comporre all’interno di una canzone una parte più orecchiabile, non vedo nessuna ragione per ripeterla. Se a qualcuno piace quella parte può mandare indietro la canzone.
Oltre a questo approccio, ho sempre speso molto tempo nel rendere le melodie ricche verticalmente. Specialmente in “Iconophobic” e “Human Encounter” tutti gli strumenti suonano quasi sempre melodie indipendenti e non si limitano a mantenere l'atmosfera per gli altri. Penso che texture armonici e di contrappunto così ricchi aggiungano strati interni alla canzone e possano interessare gli ascoltatori (incluso me) nello scovare nuove idee sonore ascolto dopo ascolto. Ovviamente ho adottato un approccio un po’ differente nel mio prossimo album sul quale sto attualmente lavorando.

Hai mai pensato di inserire parti vocali nella tua musica?

Io disprezzo le parole perché fonte di confusione e fraintendimenti. Forse è questa la ragione per la quale ho sempre preferito la musica strumentale come mezzo espressivo. Tuttavia mi capita di scrivere poesie che chiamo “l’inferno delle parole” per lo stesso motivo, ma non canzoni (le poesie sono disponibili sul mio sito web).
E’ certo possibile che in futuro inserisca suoni umani espressivi. Come in qualche rara occasione ho fatto in “Supreme Grades” dall’album “Ustuqus-al-Uss” oppure “The Songful Song of Songbirds” da “Iconophobic”.

Nel tuo ultimo album hai diviso il mondo in buoni e cattivi. Come mai questa divisione così netta?

Forse questo è il riflesso di dove sono cresciuto. In Oriente puoi incontrare spesso questo dualismo fra bene e male nella vita quotidiana, credenze religiose o anche antiche idee mitologiche… La gente è giudicata per essere devota a Dio o al diavolo o per essere religiosa o atea, per andare all’inferno o in paradiso, ecc… Inoltre in Iran puoi trovare tonnellate di “aforismi” sui muri delle strade o sui cartelli autostradali che iniziano con frasi del tipo: “ Il peggior peccato è…” o “l’uomo migliore è colui che…”, ecc…
Personalmente non la vedo in maniera così assoluta. Ma in “Human Encounter” sto illustrando il mondo come l’ho incontrato e l’ambiente vivente ha indubbiamente avuto un importante effetto… Amore profondo, dolore amaro, insolite fobie… Forse è perché ho provato a disegnare suggestivi affreschi sonori nel modo in cui li ho vissuti con il mio cuore e la mia anima…

Hai fatto un gran lavoro nel promuovere la tua musica. Un sito ben fatto con tante informazioni e tradotto in molte lingue. E’ possibile trovare informazioni tue anche su Wikepedia in svariate lingue. Ne è valsa la pena?

Il motivo per cui ho tradotto i contenuti del mio sito web in 14 lingue (è stanno ancora aumentando) è che, come per la scelta di un tipo di musica strumentale, sto cercando di trascendere le parole. Sono voglioso di eliminare ogni ostacolo nel modo di comunicare la mia musica strumentale senza parole… Citando David Cronenberg nel film il “Pasto Nudo”: “Sterminare tutto il pensiero razionale. Quella è la conclusione a cui devo arrivare.”
Riguardo alle informazioni online e i contenuti in generale, devo dire che è molto deludente per me quando scopro che molte vecchie band hanno nessuna o pochi dati accessibili da internet. Informazioni online e contenuti multimediali sono generalmente i mezzi più facili e veloci di informazione. Sono sicuro che richiedere informazioni online, forse quando sarà più facile per la gente portarsi dietro i computer, diventerà parte delle conversazioni di tutti i giorni.
Recentemente ho anche messo su un mini blog chiamato “Salimworld live” descrivendolo come una mia “interazione live della mente, zero-paradigramatica”. E’ consultabile all’indirizzo http://www.salimworld.com/live/ e posto lì quasi tutto ciò che la mia mente “conclude”. Io lo penso come una connessione fisica tra la mia coscienza e la nostro inconscio collettivo.

Hai scritto che i tuoi “fans” hanno tradotto per te il sito in molte lingue. Come hai creato una base di fan cosi affezionati?

I miei fans sono sparpagliati in tutto il mondo, ma io cerco sempre di comunicare personalmente con ognuno di loro. Quando qualcuno apprezza la tua arte e si preoccupa di parlare di ciò con te, è la conversazione più preziosa che un artista possa avere. In questo modo ho sempre fatto amicizie, seppure non di persona, molto care in tutto il mondo.

Quali sono i riscontri alla tua musica in Iran?

Non ho trovato seri ascoltatori iraniani di avant-prog o jazz rock in generale. Quindi la maggior parte dei feedback che ho ricevuto è stata solo per la curiosità di affrontare qualcosa di diverso. Ovviamente non ho mai avuto aspettative maggiori. Gli Iraniani in genere preferiscono la cultura e la musica tradizionale o almeno si aspettano che ci sia una presenza importante di questa.

Oggigiorno, con internet, ci sono possibilità illimitate. Hai mai pensato ad una collaborazione con artisti stranieri? C’è un artista con il quale ti piacerebbe collaborare?

Recentemente ho partecipato al concorso da solista dei Tangent e ho anche pensato di partecipare in ambienti di composizione collettiva come ccMixter o Kompoz, ma non ci ho mai investito seriamente del tempo. Una volta ho iniziato a lavorare su un remix (o meglio una ricomposizione) di una canzone dei NIN (Nine Inch Nails) dall’album “The Slip” visto che, appena fatto l’album, ne avevano reso disponibili a tutti i campionamenti.
Mi piacerebbe collaborare con produttori che tecnicamente producono la musica come me. Giusto per fare qualche nome potrei dire Charlie Clouser e Liam Howlett.

La tua musica è in continua evoluzione, che cosa dobbiamo aspettarci prossimamente da te?

Arlequins è il primo posto dove lo annuncio. Ho iniziato a lavorare su un altro album da circa un mese. Sarà un concept e sarà il seguito di “Iconophobic” e “Human Encounter”. Alla fine della storia di “Human Encounter” (come evidenziato nel suo booklet), dopo aver incontrato i piaceri e le bruttezze, ho lasciato la Terra… Quindi ora dovrei essere in una terra di nessuno concentrato sul prossimo album!!! Mi aspetto che sia la mia reazione “all’incontro con le icone” (in “Human Encounter” 2011) dopo la “fobia delle icone” (in “Iconophobic” 2010).



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